Dal Magazine Treccani | Betty Stocchino |
Mikela Broggio | |
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Il destino di TikTok negli Stati Uniti sarà appeso a un filo fino a
gennaio 2025. La celebre piattaforma di video brevi, proprietà della
società cinese ByteDance, si trova al centro di una battaglia legale
che potrebbe cambiarne radicalmente l’operatività nel mercato
americano, se non portare alla sua fine per come la conosciamo oggi.
Con oltre un miliardo di utenti globali e 170 milioni solo negli USA,
TikTok non è più solo un’app per seguire trend o tutorial: è diventato
un potente mezzo di informazione e dibattito, soprattutto tra i più
giovani. Oggi, il 17% degli adulti americani usa regolarmente TikTok
per informarsi, percentuale che sale al 39% nella fascia under 30. Un
impatto che preoccupa Washington, sempre più diffidente verso
l’influenza che un’app cinese potrebbe avere sull’opinione pubblica
americana. Le preoccupazioni USA su TikTok non sono recenti: già nel 2019, con l’app in rapida ascesa, il governo statunitense aveva iniziato a sollevare dubbi su come ByteDance trattasse i dati degli utenti americani. Nel 2020, sotto l’amministrazione Trump, TikTok veniva per la prima volta considerato una possibile minaccia alla sicurezza nazionale, accusato di poter cedere dati sensibili al governo cinese o manipolare i contenuti mostrati agli utenti. Ad aprile 2023 la pressione è tornata a salire, culminando nell’approvazione della legge Protecting Americans From Foreign Adversary Controlled Applications Act (PAFACAA) da parte del Congresso, che impone a ByteDance di vendere TikTok a una compagnia non cinese entro gennaio 2025, pena il divieto della piattaforma su suolo americano. TikTok, dal canto suo, nega categoricamente le accuse di spionaggio e manipolazione, o di aver mai condiviso i dati degli utenti con il governo cinese. Il CEO dell’azienda Shou Zi Chew ha ribadito questa posizione in molteplici udienze del Congresso, proponendo anche ampie concessioni per rispondere alle preoccupazioni espresse dagli Stati Uniti. TikTok sostiene, infatti, di aver destinato oltre 2 miliardi di dollari a un processo di ristrutturazione dell’app volto a separare le operazioni statunitensi, con sede nella zona di Los Angeles, dalla casa madre ByteDance, con sede a Pechino. Tuttavia, il piano, conosciuto come Progetto Texas, non è stato ritenuto sufficiente dagli Stati Uniti, secondo cui non garantiva una protezione adeguata contro possibili infiltrazioni da parte delle autorità cinesi. In risposta alle crescenti pressioni, TikTok ha inoltre offerto l’introduzione di una possibilità di “blocco totale” dell’app da parte delle autorità americane in caso di violazioni degli accordi, un gesto piuttosto raro nel mondo delle big tech. A settembre, l’azienda ha avviato una causa contro il governo degli Stati Uniti, contestando la costituzionalità di un possibile divieto e sostenendo che tale azione violerebbe il primo emendamento, che protegge la libertà di espressione. TikTok ha argomentato che il suo algoritmo − il vero cuore dell’app − rappresenta una forma di espressione creativa e che interferire con esso equivarrebbe a un attacco senza precedenti alla libertà di espressione. Da un altro punto di vista, la posizione dell’app è ostacolata: molte delle informazioni raccolte dal governo USA per sostenere le accuse restano classificate, rendendo difficile per TikTok costruire una difesa completa. Per vincere la causa, l’azienda dovrà convincere i giudici ad applicare il principio dello “strict scrutiny”, uno standard legale che impone al governo di dimostrare che una restrizione dei diritti fondamentali sia davvero necessaria per un interesse pubblico primario. TikTok non è solo nella sua battaglia. È interessante notare come diversi gruppi, spesso non tradizionalmente allineati, sembrino pronti a sostenere l’azienda in questa sfida. Quello che appare invece quasi certo è che la Cina si opporrà con decisione a qualsiasi cessione forzata di TikTok, in quanto creerebbe un precedente preoccupante per le relazioni economiche globali. L’azienda si trova ora in un delicato equilibrio, cercando di mantenere il proprio accesso al mercato statunitense senza apparire troppo arrendevole alle pressioni americane: se le strategie legali adottate dall’azienda possono proteggerne le operazioni negli Stati Uniti, allo stesso modo potrebbero rischiare di danneggiare la sua reputazione in Cina. L’udienza decisiva per TikTok è fissata al 19 gennaio 2025, un giorno prima dell’insediamento del nuovo presidente Donald Trump. Un fattore che avrà sicuramente un impatto sugli sviluppi futuri di questa vicenda. Un aspetto da valutare è il recente cambiamento di posizione di Trump, che, dopo aver incontrato il megadonor repubblicano Jeff Yass qualche mese fa — un personaggio con forti interessi finanziari nell’app — aveva promesso che, se fosse tornato ad essere presidente, non avrebbe sostenuto il divieto di TikTok. In un discorso elettorale, Trump aveva anche sottolineato come un divieto della piattaforma finirebbe solo per avvantaggiare altri colossi tecnologici come Facebook, da lui definito un «nemico del popolo». -oOo- |
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