Berlinguer e il beffatore.
Proprio ieri ho conversato a lungo
con un anziano militante del Pci che oltretutto per me ha il
fascino di essere stato un eccellente tipografo, grafico e
impaginatore, l'uomo di fiducia quanto al piombo non solo del
partito, ma anche di Cesare Pavese e di tanti altri che affollavano
la Torino del dopoguerra. Mi ha raccontato un aneddoto su
Berlinguer, venuto in visita alla Federazione della città
fiat e già dirigente in vista del partito. Una domenica
andarono insieme a distribuire l'Unità nei quartieri operai,
suonando di porta in porta come accadeva allora. Cominciarono il
giro alle 8 del mattino ed Enrico protestava con il tipografo che
era troppo presto, che si rischiava di rompere le scatole. E
infatti uno che aveva aperto ancora assonnato la porta di casa si
lamentò per il risveglio brusco. Berlinguer gli diede
ragione e chiamò il tipografo che intanto stava suonando ad
altre porte. "Vieni qui Alfredo, digli che sei stato tu a
voler venire così presto".
La vita politica di
allora era fatta così, non solo di entusiasmi e di lotte, ma
anche di alzatacce e di pochi soldi, di gavetta e di contatto
diretto con gente: i quadri si formavano in questo modo e quando
arrivavano ai vertici, avevano una formazione completa, qualcosa da
dire, prospettive confrontate con una realtà quotidiana.
Certo altri tempi. Ma che dire del mediocre attore, conosciuto
solo per il prototronismo e per le beffe goliardiche a maggior
gloria della televisione trash, il quale sostiene di non farcela a
vivere con il corposo emolumento da parlamentare? Dell'ometto
ammiratore di Mussolini per imprinting familiare, nato ricco, da
sempre interessato solo allo spettacolo e soprattutto agli affari
nel mondo dello spettacolo? Che prima delle elezioni ha sostenuto
di voler affidare a un blind trust la sua società di
produzione, con un'operazione che sa di volgare trucchetto? Cosa
dire se non essere desolati di fronte a tutto questo? D'accordo che
con la politica della commedia e dell'irrealtà si trova a
suo completo agio, ma di quale esperienza è portatore? Di
quale visione politica? Di che cultura anche rispetto al suo
reazionarismo domenicale? Nessuna e infatti non è altro che
un marmittone ben vestito dell'esercito di Silvio, la cui unica
indipendenza è rintracciabile nell'assenteismo giustificato
con gli impegni per ingrassare il magro stipendio di 23000 euro
mensili, benefici esclusi.
L'attor mediocre non può dirci
niente che già non sappiamo se non rivelare di che pasta è
fatta la classe politica a cui appartiene. Paradossalmente non solo
non aggiunge nulla, ma toglie anche ciò che potrebbe
portare. Le violenze sessuali subite da bambino in un prestigioso
collegio religioso ad opera di qualche santo padre, lo ha portato
nelle fauci di un partito che ostenta una stretta ottemperanza
vaticana, tanto da difendere anche il tentativo di nascondere
queste vicende operato a suo tempo dall'attuale Papa.
Ecco la
differenza tra la costruzione di esperienza e la sua distruzione.
Tra una classe politica e una banda di clienti affamati e
ubbidienti. E alla fine quella tra l'Italia che cresceva e quella
del declino.