Il bunker di Berlino
Gli ultimi quattro mesi di guerra, là
sotto terra a Berlino, furono uno degli psicodrammi più
intricati, terribili, cupi, patetici che la storia ci abbia
tramandato nella sua interezza. Fra tradimenti, fedeltà
angosciose, ambizioni grottesche, quel crepuscolo degli dei era
illuminato da una speranza assurda: che accadesse qualcosa
all'ultimo momento, un miracolo capace di dividere gli Alleati e di
salvare non solo la Germania, ma persino il nazismo. E quando
Roosevelt morì, per qualche giorno i notabili del regime
pensarono che fosse possibile un distacco tra America e Unione
Sovietica, che la Germania potesse diventare alleata di Usa e
Inghilterra contro il bolscevismo. Impossibile, eppure i vari
Goering, von Ribbentrop, Goebbels, Himmler cercavano di farsi le
scarpe per un'eventuale successione, per essere in prima fila in un
numinoso rivolgimento di quel tipo.
Sotto forma di farsa, di
atellana licenziosa e miserabile, qualcosa del genere sta avvenendo
anche da noi in questi mesi: basta che qualche segnale positivo
arrivi dall'Ocse, anche un piccolo segnale poco significativo,
perché il governo, premier in testa, dichiarino che la crisi
è finita e che ci aspetta un luminoso futuro, che siamo alla
testa della ripresa. Nei suoi bunker griffatti ed equivoci, il
Cavaliere e il suo governo di proprietà privata, si
aggrappano pateticamente alla fine della crisi che in realtà
è molto lontana: sanno che la situazione in cui sta
affondando e disgregando il Paese, è l'unico elemento che
può mettere in gioco la loro presa sugli italiani. E
qualcuno tra loro immagina che comunque vada, il capo supremo, il
padrone dovrà forse essere sacrificato e magari si propone
fra le righe. Sempre che non venga politicamente fucilato prima dai
boia mediatici.
Sappiamo come è finita nel primo caso.
Vedremo come finirà qui anche se al posto delle capsule di
cianuro, ne girano di neve e di chanel. Ma per noi, purtroppo, sarà
comunque un dopoguerra.