Il matrimonio di Lorna

Una premessa. C’è sul mercato un bene che per una categoria di persone, i migranti, è massimamente ambito: la condizione riconosciuta di cittadini  di un Paese in cui diritti e opportunità di lavoro siano ancora beni sufficientemente disponibili. Dato che questa condizione in un numero crescente di Paesi del mondo va drammaticamente peggiorando, ecco spiegati dimensione crescente e polarizzarsi su alcune direzioni di marcia del flusso migratorio. Aggiungete il fatto che oggi siamo in piena recessione economica anche nei cosiddetti (ex) Paesi ricchi, e capirete il perché del chiudersi drammatico di spazi e opportunità per sempre più larghe masse di miseri e disperati. La questione riguarda e affligge innanzitutto i Paesi africani, i cui flussi di derelitti umani in fuga convergono su Pantelleria, e quelli dell’Est europeo, che gravitano verso il cuore occidentale dell’Europa.

Il film. Nella vita che conduce in una città belga, Lorna, giovane donna albanese che lavora provvisoriamente in una lavanderia, ha a che fare con quattro uomini. Il fidanzato albanese, che Lorna ama e vorrebbe sposare al più presto per realizzare il sogno di aprire insieme un bar;  il conducente di un taxi, in realtà capo di una organizzazione malavitosa che traffica, specula e arricchisce sul mare in tempesta dei migranti clandestini alla ricerca di una regolarizzazione certa della loro esistenza; il giovane tossicodipendente belga che Lorna è stata indotta a sposare per ottenere l’agognata cittadinanza; il ricco russo che dovrà sposare, una volta che il fittizio e strumentale marito tossicodipendente sarà stato eliminato con una overdose, facendola così diventare vedova appetibile perché in grado, se sposata, di trasmettere a sua volta il diritto di cittadinanza. Nel quadrilatero di questo squallido drappello maschile, i perni su cui si incardina il racconto dei fratelli Dardenne sono quindi la ricerca spasmodica di un certificato di cittadinanza da parte di un esercito di bisognosi, e Lorna, giovane donna ambita perché tramite e condizione per ottenerlo. A muovere la danza e le fila, i criminali che hanno colto l’opportunità di ricavarci lauti guadagni.   In questo viluppo intricato tra la marea umana che preme ai confini spinta da miseria e speranza, e chi si attesta lungo il percorso pronto a tutto pur di lucrare, Lorna gioca le sue carte per sbrogliare la sua matassa e trovare una risposta. La giovane, fin dalle prime sequenze, appare determinata nell’arrivare dove lei e il fidanzato hanno deciso, consapevole  del contesto in cui hanno scelto di muoversi, dei prezzi da pagare, dei rischi che corrono. Ma via via, nella frequentazione quotidiana con il giovane tossicodipendente belga suo provvisorio e strumentale marito, si rende conto che dietro la pedina necessaria per ottenere la cittadinanza c’è una persona sofferente, ancora vitale e viva. Quindi si affeziona, e una notte, malgrado ogni patto lo escludesse, gli si abbandona rimanendone incinta. Nello schema utilitaristico e razionale del disegno criminale fa quindi irruzione l’imprevisto, il granellino di sabbia che rischia di incepparlo. E’ la vita che non si fa del tutto soggiogare da una avidità speculativa criminale. Lorna, agente portatore di questo contro virus, si trasforma nella protagonista attiva di una spinta alla rivolta. Posta ad affrontare il bivio “mors tua vita mea”, circondata da un groviglio di bestie feroci dove anche il fidanzato romeno si rivela sottomesso alla legge della sopraffazione, ed è pronto ad abbandonarla nelle mani del più forte, Lorna, sceglie di stare dalla parte del più piccolo e debole. Se non riesce a proteggere fino in fondo il ragazzo tossicodipendente di cui è rimasta incinta, appena si rende conto che sta per essere a sua volta eliminata, reagisce, inventa un dialogo commovente  con il principio di vita che le sta germogliando in pancia, ne ricava forza per ribellarsi, reagire, difendersi, sottrarsi e fuggire.  

Tutto accade senza ricorso ad alcun climax cinematografico enfaticamente ruffiano. In tanta avida violenza, il principio del bene puro, incarnato da una ragazza albanese dal culo grosso, viso espressivo e capello corto da maschietto buffo, prende alla fine in mano la situazione. Hollywood, o altre cinematografie  tendenzialmente roboanti, ci avrebbero travolto con tonnellate di sangue e melassa. I fratelli Dardenne (L’enfant, Rosetta, Il figlio, La promesse) fanno parlare i fatti e le facce, i silenzi e lo squallore delle stanze,  le emozioni appena accennate, gli sguardi affilati come lame. Dietro si intuisce la Mouchette di Bresson, la Giovanna d’Arco di Dreyer. Alla fine ti accorgi che la ragazza albanese, Lorna, ti entra dentro come una cara amica, una fondamentale sorella, riesce a incarnare credibilmente l’istanza sacra e fondamentale dell’affermazione del diritto di esistenza reclamato da parte di una vita fragile e nuova: malgrado tutto, contro tutti.   Lorna è all’evidenza una delle tante ragazze normali dell’Est: ma alla fine, grazie al tocco sapiente dei fratelli Dardenne, si è trasformata in una nuova e simbolicamente persuasiva Eva. Così come nei film recentemente commentati, anche in questo la figura centrale è femminile, ed è la figura cui la sensibilità del regista affida veste e ruolo di portatrice di possibile risposta liberatoria dai drammi collettivi rappresentati. Vien da dire che oggi qui non ha fallito solo lo Stato e il Mercato, il regno del Politico, del Prete e del Papato: qui si direbbe avere fallito proprio l’Uomo come occidentale maschio adulto. E allora, sembrano suggerire i Dardenne, è bene ripartire da un punto e a capo: ad esempio da una donna che decide di portare avanti ex novo, contro tutto e tutti, una nuova vita. D’altra parte, non è così che è successo anche un’altra famosa volta, tra un padre falegname fittizio (fittizio come padre, non come falegname) e una fanciulla povera, accovacciati tra gli animali nello squallore di una grotta?

Gian Carlo Marchesini