Vuoti a rendere

recente film di Jan Sverak, mette in scena i problemi e i patemi della condizione di chi, oltrepassati i sessant’anni, va in pensione e si ritrova le giornate con molto tempo a disposizione, e un legame di vita quotidiana con la moglie alquanto consunto e sfilacciato perché oramai si prolunga da più di trent’anni. Anche il corpo, per quanto ancora sano e robusto, comincia a perdere qualche colpo. La figlia trentenne si è lasciata con il marito, e tocca sostenerla anche perché madre di un adorabile e un po’ disorientato nipotino. La moglie è sì amata, ma in una posizione/dimensione di compagna di oramai lunghissima lena, che ci si è abituati a salutare la mattina uscendo per raggiungere il posto di lavoro e la sera al rientro. Starci insieme l’intera giornata significa farci fronte e prendersene cura in un modo cui non si è mai stati abituati. 

Il protagonista del film e delle vicende raccontate, il bravissimo Zdenek Sverak, padre del regista Jan, sceneggiatore e interprete di Vuoti a rendere come del precedente Kolya, decide così di trovarsi un nuovo impegno che lo mantenga socialmente vivo e attivo, sottraendolo alla clausura in casa con una moglie amata sì, ma anche un po’ troppo padrona, impicciona e brontolona. L’attività trovata è sbrigare dentro un supermercato il compito di ritirare le bottiglie vuote restituite dai clienti. Tale umile e semplice adempimento è in realtà il pretesto inventato dal regista figlio e dallo sceneggiatore padre per raccontare, con sguardo partecipe e attento, colmo di ironia e buon senso, una umanità mutevole e varia colta e interpretata attraverso la sensibilità, la curiosità, i desideri e i commenti del nostro  pensionato protagonista. Già, anche i desideri, perché il nostro deve per un verso fare fronte a un drastico e fisiologico calo di attrazione sessuale nei confronti della oramai matura compagna, dall’altro fare i conti con una libido nei confronti di donne giovani e attraenti che con l’età, invece di calmarsi e scemare, irrompe e reclama come fiamma di una candela più luminosa e calda proprio perché presaga della fine. 

La quotidiana vita di una coppia che combatte e non si arrende ai guasti del declino, la galleria di personaggi che il protagonista incontra e mette in scena  nel piccolo e affollato mondo del supermercato, le donne delle quali, nel suo vivace immaginario, si infervora e infiamma, il destreggiarsi tra la moglie assillante e inquieta e la figlia abbandonata dal marito perché troppo bacchettona e rigida, e il nipotino adorato ma un po’ solo perché dal padre abbandonato, questo intreccio pluriverso fa in modo che le giornate del pensionato non siano più vuote o prive di senso e significato. La morale di Vuoti a rendere è che nessuno è un vuoto a perdere, che ogni problema e dramma, con il giusto piglio di buon senso e saggezza, si può aggiustare. Che la vita, specialmente con l’avanzare dell’età, si fa più difficile e complicata, ma ciò che si perde in freschezza ed energia può essere sostituito e temperato dall’acume dell’esperienza, da una più allenata e tenace pazienza. Questo nel film è proposto con garbo ed eleganza, con la cura amorosa dei dettagli, le battute amare e divertenti, gli sguardi e i silenzi che valgono mille volte l’adrenalina roboante e artificiosamente indotta di tanti film di cassetta. 

La visione di Vuoti a rendere è una lenta, progressiva immersione nel senso autentico della vita, nella scoperta della solidità degli affetti veri, nella solidarietà necessaria a una condizione, quella umana, che ci rende ontologicamente vulnerabili e fragili, forti però a volte nel saper trovare la parola rincuorante, la carezza dolce, la parola giusta: senza troppe piaggerie, senza finzioni e ipocrisie, sciogliendo le durezze della frustrazione e della fatica con l’acido corrosivo dell’auto ironia, con un supplemento di accettazione e pazienza. L’invenzione finale del viaggio in mongolfiera, organizzato a sorpresa per festeggiare il 40mo anniversario di matrimonio della coppia protagonista, è un vero e proprio colpo d’ala di poesia cinematografica. Solo quella vale il biglietto di ingresso al cinema – che alla fine lascia in bocca e nell’anima quell’impagabile sapore di euforica leggerezza come solo succede per un contatto con la poesia vera, l’arte e la bellezza.

Gian Carlo Marchesini