Beppino Englaro. Verità e menzogna.

Tra i diversi incontri proposti alla appena conclusa Fiera del Libro di Torino, ho scelto di partecipare a quello in cui, sul tema Verità e Menzogna, presentavano l’ultimo numero di Micromega Paolo Flores D’Arcais, Marco Travaglio e Beppino Englaro. Mi sono seduto in prima fila anzitempo, come l’incontro meritava, a pochi metri in faccia ai relatori. Proprio davanti a me c’era Beppino Englaro, che ha parlato per secondo, subito dopo Flores D’Arcais e prima di Travaglio. Parlerò solo dell’intervento del papà di Eluana, che mi ha impressionato di più. Devo subito precisare un fatto, perché è quello che ha notevolmente contribuito a caratterizzare la mia esperienza di ascolto. Beppino Englaro ha cominciato a raccontare e, come capita a un relatore che si ritrova a dover parlare davanti a 500 persone, ha cercato gli occhi della persona più vicina per cercare conferma di ascolto e attenzione. E ha trovato i miei. Dopo di che io non ho più soltanto ascoltato, come tra i tanti, ma mi sono ritrovato interlocutore eletto tra tutti. Nella mezz’ora di racconto dei fatti, Beppino Englaro ha ripercorso tutti i passaggi fondamentali che dall’incidente occorso alla figlia nel lontano 1992 si sono trasformati nella Via Crucis che oramai tutti conosciamo, nella battaglia cruciale tra chi rivendica il diritto di decidere del proprio corpo in stato di coma vegetativo irreversibile e chi invece quella libertà fondamentale rifiuta e nega. E in ognuno di quei passaggi del suo racconto, lo sguardo del papà di Eluana cercava il mio, reclamava la mia totale attenzione, la mia solidarietà e comprensione. Non ascoltavo più soltanto il racconto di una ingiustizia, un abuso, una crudeltà perpetrata su quella famiglia, su quel corpo ridotto al lumicino, su quei genitori angosciati eppur combattivi, ma sentivo arrivare fisicamente, attraverso il suo sguardo, il flusso di tanto dolore e sofferenza. E mentre le parole, le descrizioni, i resoconti di fatti su fatti si succedevano concatenati (quante volte papà Englaro avrà raccontato, in situazioni analoghe, in interviste e testimonianze pubbliche, le stazioni di quel Calvario laico, le ferite e le umiliazioni subite – è un assassino! vuole trarre vantaggi dalla situazione penosa in cui si trova la figlia! -), quel suo sguardo di occhi consumati dal dolore e dal pianto durati troppi anni mi penetrava dentro come artigli. Ho anche pensato, confesso, che quell’essere umano sottoposto a un tale enorme carico pubblico e privato, rischia il crollo emotivo e psicofisico. E, infatti, tirato e scavato, contratto e teso, è l’intero suo corpo che fa pensare a un consumato scricciolo. Forse quest’uomo – ho pensato – non ce la fa più a interpretare la parte importante ma pesantissima dell’icona politica, del Cristo portato con la Croce in processione. Forse oggi vorrebbe soltanto essere lasciato in pace con i suoi ricordi e il dolore, accolto in silenzio e semplicemente abbracciato.  Queste sono le riflessioni che mi sono affiorate in seguito a quell’esperienza di ascolto da cui, malgrado la tensione emotiva spasmodica, ritengo di essere stato onorato. Ascoltando Beppino Englaro ho capito che cosa significa incarnare per anni, con il cuore, i nervi e i visceri, una scelta morale e intellettuale lucida e coerente – costi quel che costi, malgrado gli incessanti ostacoli e problemi, da parte di un autentico e nudo amore paterno contro manipolazione e imbroglio dei vari “papi” invasivi e onnipotenti.

Gian Carlo Marchesini.