Riunione di famiglia 

Il film è un incrocio geniale tra la solennità cupa della tragedia greca e l’allegria solare dell’operetta buffa, grazie a un dispositivo narrativo capace di far saltare, usandoli spregiudicatamente e rovesciandoli, ruoli, relazioni  e convenzioni famigliari: e lo fa procedendo diretto come una locomotiva al cuore di nodi irrisolti, di antichi traumi e nuovi malesseri. Dove si  raccontano le vicende di uno splendido e balbuziente ragazzone di vent’anni convinto di avere perso il padre suicida a cinque, e con una madre che da allora vive felicemente in coppia con un’altra donna. E che all’improvviso  ritrova il padre - quello per quindici anni pianto morto sotto un treno – che approda nello stesso albergo nelle cui cucine lui lavora, in tournée in città nella veste di famoso cantante lirico. E quel ragazzo, che crede di amare la ragazza con cui vive e sta per sposare, reincontra all’improvviso anche la prima e antica fiamma amata fin da bambina e ricoverata da anni in una struttura psichiatrica, e capisce all’istante di non avere mai smesso di amarla. Tanto da finirci immediatamente a letto. Questo ingenera ovviamente la reazione incollerita della sua precedente promessa sposa, che immediatamente lo lascia. Ma la sera stessa, alla cena di gala in onore del ritrovato e redivivo padre nel ristorante in cui lavora, il ragazzo viene messo al corrente che il suo vecchio è un caprone impenitente, di quelli per i quali l’amore ha poco a che spartire con il romanticismo assoluto, ma molto con la collezione e godimento di bei corpi, e che giusto quella mattina ha consolato nella sua camera le pene d’amore della sua appena ritrovata ragazza, da poco assunta come cameriera nello stesso albergo. Al che, al doppio trauma del ritrovamento inaspettato e del tradimento dal proprio stesso padre subito, il ragazzo reagisce come belva infuriata, lo aggredisce e picchia. Il finale è pensosamente lieto, padre e figlio si riconciliano. A quel punto, il ragazzo, guarito dalla balbuzie e finalmente  sgravato dagli errori e dalle complicazioni ereditate dalle vite dei genitori, malconcio ma sollevato è pronto con la nuova ragazza, la sua fiamma antica, ad affrontare la vita. 

I personaggi messi in scena sono tutti vitalmente eccentrici, portati all’abuso di alcolici o sedati da farmaci, ma allo stesso tempo, e ciascuno a modo proprio, tutti alla famelica ricerca di senso, accettazione, riconoscimento, piaceri e amore - e quindi, tutti imbozzolati in qualche più o meno avvolgente e complicata contraddizione.    

Perché questo è un film che prende di petto la vita, e lo fa con gravità puntuta e allegria leggera, con i filtri di una serietà giocosa, sotto il segno di una irrefrenabile voglia di felicità e del lutto inconsolabile per la sua perdita o assenza. E il regista, che dirige magnificamente la baraonda e la giostra, mostra di saper maneggiare con destrezza una così abbondante quantità di dinamite, facendola esplodere al momento giusto e facendoci così restare a bocca aperta come bambini emozionati e stupiti. Si capisce bene a questo punto quanto sia congrua e motivata la raccomandazione che il ragazzo, abbracciandola, rivolge in chiusura del film alla sua ritrovata antica fiamma: “Ti  amo. Ma mi raccomando, non andare più a letto con mio padre. E nemmeno con mia madre.” (Nel frattempo, di sbieco, una scena del film lascia intendere che la sua ex si sia lasciata irretire dalle lusinghe di Saffo. E grazie chi, se non alla madre lesbica del ragazzo stesso?)

Il film conferma largamente quel che si dice della Danimarca, del suo livello sociale avanzato e diffuso nella capacità di riconoscere i bisogni e i desideri profondi di cui siamo impastati, e nella pratica alla luce del sole di relazioni interpersonali libere per quanto, e probabilmente per questo, a volte incasinate. Non a caso lì le leggi recepiscono e regolamentano, sul piano dei diritti civili, matrimoni di coppie omosessuali e loro facoltà di adozione di bambini, testamenti biologici e quant’altro. 

Il regista di Riunioni di famiglia è Thomas Vinterberg, quello di Festen (1998), altra radiografia coraggiosa e penetrante dei legami veri e delle dinamiche non così ortodosse e scontate di un gruppo famigliare. Di film costui non ne fa molti. Ma quei pochi lasciano  il segno.

Gian Carlo Marchesini