Maratea,  sempre Maratea…     Ma perché:  la Costa Azzurra,  invece?

Sono atterrato a Nizza con un volo low cost decollato tre quarti d’ora prima da Roma, servizio che per rapidità e risparmio economico devo riconoscere apprezzabile. Che si è in vista della Costa Azzurra basta un’occhiata al mare sottostante: cambia velocemente colore attraversando tutte le declinazioni del grigio e del marrone fino alla fascia color fango torbido dell’acqua che lambisce la terra. Evidentemente il concentrato di inquinamento lì è a dir poco superlativo. Poi, un volta atterrato, ho volutamente attraversato con un treno regionale, di quelli che fermano a tutte le stazioni, gran parte della Costa. E sono rimasto con il naso incollato al finestrino a osservare inorridito la continua colossale colata di cemento (Cannes, Antibes, Saint Tropez) che copre e deturpa ogni spazio delle colline, ogni anfratto e pertugio del lungomare. Fino a quando costeggiando a piedi il porticciolo di Saint Raphael ho subìto il colpo di grazia finale di fronte a una muraglia di mini appartamenti affiancata da un Mac Donald’s a sua volta affiancato da un rutilante Casinò, l’insieme costruito in tempi recenti a ostruire la vista della magnifica cattedrale color pan di zucchero caramellato completamente accerchiata dai tre edifici pacchiano-commerciali, la cupola appena visibile sopra i tetti a gridare al cielo la sua protesta. Lì, davanti a quella che è oscenità e sacrilegio prima ancora estetico che culturale e religioso, mi sono arreso e ho perfino pianto. Certo, forse le quarantaquattro chiese della lucana Maratea sono numericamente esagerate, qualche restauro e recupero e rinnovo vanno attuati: ma, rispetto alla Costa Azzurra, l’indice del costruito sulla costa di Maratea, malgrado il molto e maldestro edificato nell’ultimo ventennio, è in proporzione la millesima parte. Che più dire, se non a questo punto sperare che il nord della bussola non indichi per Maratea un futuro rivolto a imitare il costruito bulimico mostruoso della Costa Azzurra? (A spiegazione di un tal enorme concentrato di ricchezza basta la lettura dei giornali del giorno dopo: che parlano dell’arresto a Napoli di un centinaio di camorristi che hanno investito - hanno scoperto gli investigatori - milioni di euro ricavati dalle attività illecite proprio costruendo e gestendo attività commerciali sulla Costa Azzurra…)

A risarcirmi dello choc ci hanno pensato i miei tre nipotini italo-francesi a gara: Vladimir che avrà tra poco quattro anni, Clara e Camille che invece non ne hanno ancora due. Farsi ballare dai loro piedini sulla pancia, farsi frugare, indagare, titillare e ronzare intorno per ore e ore, sull’erba dei prati o sulla sabbia in riva al mare, è terapia efficace per guarire da paturnie e misantropie più di qualsiasi miracolosa piscina di Lourdes.

In compenso, rispetto a quelli nostrani, i treni francesi sono di un decoro, pulizia e puntualità straordinari. Approdato nel ritorno per un fine settimana a Torino, ho approfittato per una full immersion alla Fiera del Libro. E’ stata al proposito la mia prima volta. L’impressione che ho dentro indelebile è quella dell’esperienza di un vortice di stimoli provocati sia dalla straordinaria numerosità di editori, libri e loro presentazione in conferenze cui partecipano scrittori e intellettuali di tutto il mondo, sia dal flusso costante di persone – moltissime le donne, le famigliole e le comitive di giovani – che affollano stand, sale e convegni. Quest’anno complessivamente 308 mila rispetto ai 297 mila dell’anno scorso. Sembra proprio di stare in compagnia di individui che, pur non essendosi tra di loro mai incontrati prima, si percepiscono immediatamente consonanti, quasi famigliari o parenti. La percentuale di facce dalla fisionomia che si scopre interessante e significativa è qui elevatissima. Evidentemente la passione della lettura affina non solo propensioni e gusti, ma perfino i tratti somatici. Chi ama la lettura e i libri lo denuncia fin dall’andatura felpata e dalla postura leggermente curva dei corpi, dall’espressività pensosa e sognante dei volti e degli sguardi. 

L’ultima immagine che propongo del mio viaggio è l’approdo alla caoticità anarcoide della romana Stazione Termini: una domenica pomeriggio, l’uscita su via Marsala intasata dall’incastro inestricabile di vetture e pulman turistici, i semafori spenti, i vigili assenti, le facce torve e depresse delle persone costrette con bagagli e valigie a percorsi labirintici alla ricerca di taxi inesistenti. Se sulla Costa Azzurra c’è un troppo esagerato di presenza edilizia e umana, ancora decentemente funzionante e discretamente organizzato, a Roma l’immagine di benvenuto per chi vi approda in treno è quella di un eccesso delirante e definitivamente scoppiato. Al loro cospetto devo riconoscere che atmosfera e dimensione di luoghi come Maratea sono quelle di un mondo ancora in gran parte bucolico, preservato e idilliaco. (Ma in assenza di scelte tempestive e nette di modelli radicalmente alternativi, non sono in realtà solo stadi quantitativamente diversi di un dissennato e identico percorso?)

Gian Carlo Marchesini