Patria

In una sala sotterranea della Feltrinelli di Galleria Colonna, ibernata da un flusso potente di aria condizionata, mentre la soprastante area del Parlamento era blindata per l’arrivo di Gheddafi in alta divisa militare e foto al petto dell’eroico patriota Mukthar, una trentina di convenuti dall’aria di cospiratori si è interrogata su una catastrofe tutta italiana chiamata Patria. Occasione e pretesto, la presentazione del libro di Enrico Deaglio dall’identico titolo. 

Deaglio ha avuto una bella idea: ha ripercorso i nostri ultimi trent’anni di storia economica, sociale, politica e culturale, giudiziaria e criminale raccontandoli con l’occhio attento del cronista che decide di osservarli facendoli scorrere al tempo presente, con la conoscenza sufficientemente ampia e completa oggi raggiunta, e non parziali e spesso indecifrabili così come li abbiamo vissuti al momento del loro reale svolgimento. E’ come decidere di avvalersi dei poteri riordinatori e unificatori di un dio che ti consentono di vedere le cose passate dall’alto panoramico di una cima nel loro accadere e svolgersi in tempo reale, ma in una completezza incontrovertibile, risarcendoti di tutta l’incertezza, l’approssimazione, il sentimento di inadeguatezza e frustrazione patito nel tempo trascorso. Deaglio è un giornalista purosangue, e non ha resistito alla più che comprensibile tentazione di regalarsi e regalarci lo svolgersi della storia patria riavvolta e fatta scorrere oggi su un nastro che tiene dentro ricomposti i fatti nella compiutezza con cui oggi li conosciamo, e non tramite una informazione monca e segnata da menzogne, segreti, omissis, doppiezze e ipocrisie che ce li ha allora confezionati ed ammanniti. E’ ovvio però che neppure oggi su molti dei fatti raccontati è tutto chiaro e pienamente svelato. Ad esempio: chi sono i veri mandanti delle stragi? E a chi il generale Dalla Chiesa ha consegnato il memoriale di Aldo Moro, in modo che potesse essere censurato prima della sua consegna nelle mani del magistrato – il che avrebbe lasciato dietro di sé una scia di sangue, a partire dall’uccisione di Mino Pecorelli per finire con quella dello stesso Dalla Chiesa?

Nel dibattito che si è sviluppato l’autore ha affermato di avere realizzato il suo lavoro non dal punto di vista dello storico e del politologo, ma del giornalista e del cronista attento, che si attiene il più possibile alla concretezza scarna e ruvida dei fatti, e di avere intitolato il libro Patria nel senso di Heimat, di casa e focolare domestico, in relazione all’amore che malgrado tutto ancora sente per questo Paese. Indotto al lavoro anche dal peso e dal significato che attribuisce a questi ultimi trent’anni raccontati, che lui ritiene appassionanti e terribili, pieni di sangue e violenza, e che ci hanno fatto affondare in un progressivo e apparentemente inarrestabile degrado fino agli approdi attuali. Caratterizzati, ad esempio, dal fatto che mentre quaranta o cinquanta anni fa la mafia era subalterna e soggetta ai poteri dell’economia e della politica, ora i vari mondi sono collocati praticamente alla pari, mutuando e scambiando tra di loro metodi, linguaggio e condotte. Tanto da essere indotti a rivalutare come del tutto appropriato e mai come oggi così pertinente il giudizio di  Gramsci sull’innato sovversivismo delle classi dirigenti del nostro Paese. E sulla natura di gran parte del nostro popolo, eterno adolescente che propende a trastullarsi tra desideri e giochi senza mai assumersi responsabilità e rispetto delle regole.

Deaglio ha ulteriormente evidenziato le ragioni che l’hanno indotto a scrivere Patria. La prima ha a che fare con la memoria. C’è un deficit di conoscenza di fatti importanti successi in questo Paese, che, non dimentichiamo, conta la cifra smisurata di diecimila morti per mano di mafia, una vera e propria carneficina in assenza di guerra ufficialmente dichiarata. E con un esponente della quale, condannato in via definitiva all’ergastolo, che viene indicato dall’attuale premier come figura socialmente esemplare e moralmente eroica. C’è poi una questione aperta sulla nostra collettiva identità: questo Paese, la sua Costituzione, sono fondati sui valori dell’Antifascismo e della Resistenza: come mai, a partire dagli anni Ottanta, il fascismo è stato sdoganato? Terza viene infine una ragione morale: come è potuto succedere che l’attuale premier possa anche essere l’uomo più ricco, e che il primato politico gli derivi dal possesso di gran parte dei media? E come è possibile che, in Europa, nel 2009, colui riesca a far varare dal Parlamento leggi che gli evitano la galera? O che sia tollerato il fatto che si faccia condurre nella sua residenza privata con voli di stato fanciulle cui regala carte di credito per fare shopping fino a duemila euro, con una condotta e comportamenti che configurano il reato di induzione alla prostituzione?

Alla fine della presentazione, risalendo le scale che dalla cripta gelata ci hanno riportato in superficie a impattare con le barriere militarizzate di una città in stato d’assedio, a me è venuto spontaneo un pensiero: bravo Deaglio, hai messo utilmente in fila le cose significative e terribili di questi ultimi trent’anni per come esse sono effettivamente accadute e non per come ce le hanno allora e finora raccontate o nascoste. E ti credo se dichiari di averlo fatto per un residuo, incoercibile e irrinunciabile sentimento di amore. Ma se le cose sono effettivamente andate così come tu ce le fai scorrere davanti agli occhi, adesso che si fa? Non è che la libertà rimasta è quella della ricognizione minuziosa e ricca ma del tutto impotente dei fatti? Che una delle letture implicite e sottintese del titolo del tuo libro sia anche  un invito ad  espatriare?

Gian Carlo Marchesini