Il modello C

Ricapitolando: il modello A è quello della sinistra furbastra, quella delle bicamerali e degli inciuci, del “facci volare” e dell’”abbiamo una banca”, che gattopardescamente considera il miglior candidato in Sicilia la figlia di Totò Cardinale, il pietrificato Bassolino in Campania un irrinunciabile sempreverde, la moglie di Fassino parlamentare per diritto divino. Dentro possono coabitare Paola Binetti e Ignazio Marino, i figli di Colaninno, Calearo e Merloni insieme al papalino Rutelli e all’ambientalista Realacci, conditi, per gradire, con una visita contrita ad Auschwitz e una spruzzata (poco) frizzante di (addomesticato) sindacato (del pensionato). Quella che già da un bel po’ ha smesso di credere che i suoi valori, le sue prediche etiche, siano praticabili. E comunque non ha più neanche l’intenzione di provarci. E ritiene che la sua abilità sia dimostrata nella capacità di  contendere in una gara fatta di trappole e tranelli, di scambio furioso di colpi bassi per occupare nella tenzone la miglior posizione. E la dura e pura sinistra alternativa? Non è paradossale che quegli stessi suoi dirigenti che esaltano continuamente il valore delle differenze, la convivenza tra diversi e il rispetto per l’altro, non sappiano poi convivere tra loro né rispettare le loro minuscole, impercettibili differenze?

Il modello B è il cavalier Berlusconi, imprenditore che non arretra dinnanzi a nulla, pronto a qualsiasi bluff, carognata e menzogna pur di realizzare i migliori risultati per sé e per i suoi. A la guerre comme à la guerre è la visione brigantesca del business e del mercato, della società e della vita, e al comando ci deve necessariamente stare un uomo solo: lui. Un personaggio/maschera così creativo che del padrino è riuscito a realizzare la versione italiota del papino, e chi lo ama e accetta le sue condizioni lo segua, se no peste lo colga. In questa concezione, in queste categorie di pensiero della coca, della fica, della tangente e del pizzo come lubrificante necessario, si riconosce buona parte del mondo dell’imprenditoria, delle categorie professionali e delle confraternite confessionali, delle corporazioni medievali e del popolo delle partite Iva. Lì dentro fermenta e marcisce il liberismo eticamente irresponsabile ed esteticamente sguaiato del privilegio rapace e del compromesso al ribasso, la malavita organizzata di corleonesi e  casalesi, di napoletani e milanesi uniti all’insegna di un pretesco/carognesco fotti fotti che dio perdona a tutti, la bottegaia vandea di ex operai trasformati in feroci neo padroncini della pedemontana liga veneto-lombarda, la combriccola dell’opus dei e del don giussani pensiero sussunti  nell’empireo della compagnia delle opere piduiste, baccanti praticanti il culto di padre Pio quotidianamente cucinato e imbandito da Radio Maria,  partecipi della venerazione per l’eroico Mangano e quotidianamente applicati, sotto la guida del bibliofilo Dell’Utri, a interpretare correttamente  i sacri pizzini di mafiosi assassini. Lì dentro si alimenta di sempre nuova linfa il vivaio delle vergini felici di offrire la propria volatile purezza al drago, o di dare via il culo in cambio di un televisivo strapuntino o cubo; gli ex socialisti ed ex comunisti ed ex radicali, (l’avido e compunto succhiator di capezzoli Capezzone!), i voltagabbana e i traditori di tutti i campi e gli schieramenti, gli intellettuali di complemento proni ai piedi di veline e troni, arrampicatori affetti da cupidigia di apparire, ectoplasmi del nulla in un luminescente anfratto notturno dello spazio catodico; o di firmare un proprio pezzo su un foglio riformista del cesso. 

Qui la corruzione non è più episodica e marginale, potremmo anche dire fisiologica, in una società che non sarà mai eticamente perfetta. Qui la corruzione si è fatta modello, metodo e sistema, e a questo Berlusconi ha dato di suo un contributo fondamentale. E chi alleandosi per tornaconto (la Lega per cinismo, le alte gerarchie della Chiesa per opportunismo) lo ha aiutato e assistito nell’esercizio di un arbitrario potere privato a scapito del bene pubblico, o anche soltanto tollerato (il Quirinale e il suo imbarazzante silenzio), si è assunto una responsabilità morale e politica di cui dovrà rendere conto. 

E il modello C? Avete visto Che L’Argentino?  Ricordate la scena finale, quella in cui, dopo le infinite battaglie e vittorie, la colonna procede spedita verso L’Avana? Ebbene, cosa fa il Che in presenza di un gruppo di giovani e disinvolti guerriglieri che sorpassano la colonna di mezzi militari a bordo di una fiammante vettura sportiva appena requisita? Interviene, li ferma, ordina loro di tornare indietro, restituire la macchina, rimettersi disciplinatamente in coda alla colonna. Eccolo lì, il modello C, incarnato tutto intero in un solo episodio. Dopo avere battuto sul campo di battaglia l’avversario, rifiuta di fare propri i  suoi comportamenti, la logica degli abusi e la mentalità dei privilegi. Perché è così che si torna a riprodurre il gioco del doppio livello, quello dissociato che predica bene e razzola male, quello che a brigante risponde con un brigante e mezzo, che perde via via la fiducia nella possibilità di tenere insieme la necessaria durezza con l’irrinunciabile tenerezza, che abbandona l’idea che i valori e i principi abbiano senso solo se incarnati insieme e interi nella quotidiana azione concreta.

Insomma, se questo Paese è in balia di una nevrosi collettiva, la cura è il ritorno a un agire coerente perché frutto dell’unità ritrovata tra pensiero, parola e azione, o la gara a chi si mostra più versatile e creativo nella pratica della dissociazione e della menzogna? 

Gian Carlo Marchesini