Il tempo di Woodstock, di Ernesto Assante e Gino Castaldo – Laterza editore

E’ proprio vero che le cose più belle sono quelle che arrivano inaspettate. Ieri sera sono corso all’Auditorium per gustarmi un concerto di musica sinfonica. Un cartello alla biglietteria annunciava che per un contrattempo organizzativo il concerto era rinviato. Che fare? Superato il disappunto, mi sono guardato intorno e ho notato un folto gruppo di persone dirigersi verso la Sala Sinopoli. Mi sono informato con l’addetto, a minuti sarebbe iniziata una delle lezioni di rock tenute da Ernesto Assante e Gino Castaldo. In programma, una lezione sull’evento rock per eccellenza, la quattro giorni di pace e musica dell’estate del 1969 a Woodstock, che avrebbe visto partecipare, rispetto ai 70.000 previsti, oltre 500.000 giovani. Ho pagato i 5 euro di ingresso, mi sono accomodato su una poltrona nelle prime file della platea, e mi sono trovato a godere una serata magnifica. Innanzitutto, devo dire, grazie a Castaldo e Assante che erano sul palco anche per segnalare l’uscita del loro libro su Woodstock. I due, con parlantina sciolta e ricchezza di annotazioni e dati, hanno duettato benissimo nell’introdurre, commentare, contestualizzare (allora c’era in corso una sanguinosa guerra in Vietnam, nasceva in contrapposizione un grande movimento pacifista, l’anno prima erano stati assassinati Bob Kennedy e Martin Luther King)  raccontando antefatti e retroscena di quell’evento unico, nella storia del rock, a livello mondiale. E poi è partita la scaletta di alcuni dei brani musicali scelti nel film e commentati dall’amabile duo, e a quel punto io – così come immagino la gran parte dei presenti – mi sono trovato catapultato, immerso e travolto nel pieno di quel clima esistenziale, morale, politico e storico – perché quelli sono eventi capaci di influenzare la storia – di quegli anni così potenti di quarant’anni fa: superbamente e creativamente interpretati da Jimi Hendrix con la sua lacerante e geniale interpretazione dell’Inno americano; Richie Havens con la sua travolgente Freedom; Carlos Santana con il suo scatenato Sacrifice – che, tra l’altro, tiene dentro un assolo di un batterista diciassettenne che suona ispirato come un angelo in trance, o come Rimbaud mentre compone Moi c’est un autre. E poi, via via, sempre all’acme di una ispirazione e interpretazione del meglio della musica rock resa anche possibile da quei tempi, da quel luogo e dalle vibrazioni pulsanti di quella sterminata folla radunata, i Jefferson Airplane e i Ten Years After, Joe Cocker con la sua spastica e spasmodica interpretazione di With a little help from my friends, e il trio Stills Nash & Young in una versione magistrale e struggente di un’altra canzone dei Beatles, Blackbird.

Semisdraiato nel buio della mia poltrona, mi sono trovato travolto come un demente da folate irrefrenabili di riso e di pianto, mi sono deliziato con il meglio che probabilmente sia mai stato creato nel campo del rock da sempre e in assoluto. Evidentemente ho fatto anche contatto con un’epoca di grandi passioni individuali e collettive di ideali e progetti rivoluzionari, quando il meglio del meglio sembrava a portata di mano, bastava semplicemente volerlo insieme… Sapete, ora abbiamo Apicella che strimpella a Villa Certosa tra loschi figuri e tristi veline, Laura Pausini e Tiziano Ferro che credono di poter supplire alla nullità creativa lanciando strilli e barriti che manco i gorilla della giungla: e per rinfrancarsi un po’, per fare contatto serio con le energie infere e luciferine del rock, tocca andare a vedere il film di Scorsese sull’ultimo concerto dei Rolling Stones.

Insomma, così è andata imprevedibilmente e provvidenzialmente la mia serata. Poi, la notte, non so bene attraverso quali cunicoli e canali di contatto, ho fatto un bellissimo sogno: ho sognato mia figlia che all’età di due anni – o una delle sue attuali splendide figlie gemelle che oggi a loro volta hanno due anni – mi guarda dritta negli occhi con lo sguardo che hanno i bambini a due anni: attento, diretto, curioso, grave, privo di giudizi, accettante e intero. Mi ha guardato intensamente a lungo, poi rapida mi ha scoccato sulle labbra un bacio di pace assoluta.

Gian Carlo Marchesini