Still life (Natura morta) di Jia-Zheng-Ke. 

Quarantenne con cinque film al suo attivo, con questo film il giovane regista cinese ha vinto il Leon d’oro al festival di Venezia del 2007. Il racconto è ambientato nei luoghi imponenti e suggestivi della costruzione, iniziata nel 1994 e in corso di completamento, di Tre Gole, un enorme sbarramento alla confluenza di tre fiumi che, una volta completato, darà vita a un lago di 650 km quadrati, imponendo il trasferimento di un milione di persone le cui città è villaggi saranno sommersi dalle acque. Le storie intrecciate sono quelle di un minatore che cerca tra gli sfollati la moglie da cui è stato lasciato 16 anni prima insieme alla figlia, e l’altra di una infermiera che vuole rivedere un’ultima volta il marito, direttore dei lavori della costruzione della diga, dal quale è stata piantata in asso e al quale vuole semplicemente comunicare la decisione di divorziare. Le ricerche dei due protagonisti del film, che procedono appaiate, ce li fa conoscere nella loro umanità intensa e dolente, rendendoceli alla fine famigliari. Le storie sono anche il pretesto per mostrarci i luoghi, le rive, le acque teatro dell’immane opera di costruzione, ma il racconto delle vicende private e personali e il paesaggio fisico diventano quasi corpo unico compenetrato e consustanziale nel comune movimento di lento e inesorabile cambiamento. L’uomo, minatore nel suo paese di origine, diventa qui demolitore di case destinate ad essere sommerse. Nella paziente ricerca di moglie e figlia solidarizza con i nuovi compagni di lavoro. Tra fatica, sudore e pericoli di crolli si svolgono intensi il rito dei pasti comuni, le confidenze, i brindisi augurali, la sigaretta e la partita a carte, lo scambio di foto e ricordi dei famigliari lontani. Ogni tanto, a interrompere il semplice e solenne fluire delle immagini e delle situazioni, il regista introduce inaspettato un frammento visionario: un disco volante che attraversa il cielo, un palazzo a forma di astronave che parte verso il cielo. Nella scena finale del film, il protagonista, che ha ritrovato la moglie e la convince a tornare a casa, si ferma ad osservare la figurina in bilico di un equilibrista che si muove lentissimo sospeso sulla corda tra le cime di due grattacieli. Eccolo lì, sembra dirci il regista, l’essere umano: capace di esibirsi in acrobatiche imprese strepitose, anche se basta un niente per farlo precipitare. Alla fine ci sorprendiamo a riflettere quanto siamo diversi e lontani dai cinesi, formichine povere ma attivissime nel trasformare e mettere a frutto le risorse a disposizione da farci ricordare i nostri anni Cinquanta e Sessanta di ricostruzione e boom economico: ma, anche, negli aspetti fondamentali della vita quotidiana, così del tutto simili e vicini.

Gian Carlo Marchesini