Katyn

Quale dei due regimi dispotici, quello sovietico stalinista o l’altro della Germania nazista, ha compiuto i misfatti peggiori? Questa è domanda che ci si pone dopo avere visto Katyn, del regista polacco 82enne Andrzej Wajda (I dannati di Varsavia, Cenere e diamanti). Stilato il 23 agosto del 1939 il Patto Molotv - Von Ribbentrop, che sanciva tra l’altro segretamente anche la spartizione tra le due superpotenze della Polonia, nel settembre i due eserciti la invasero, uno da est l’altro da ovest, quasi contemporaneamente. 

La prima scena del film evoca il fatto in modo magistrale: su un ponte che collega due città, una colonna di profughi polacchi incontra in senso opposto l’altra, e la folla di ciascuna grida all’altra di invertire la marcia, di tornare indietro per non cadere nelle mani di uno o l’altro degli invasori…  

Nella primavera del 1940 sovietici e nazisti attuarono la seconda parte del piano, quella di uno sterminio programmato e radicale delle classi dirigenti del Paese occupato: docenti e accademici, ufficiali delle forze armate, professionisti e tecnici dei vari rami industriali. I soli sovietici fecero prigionieri 20.000 ufficiali, 12.000 circa di loro furono trucidati con un colpo di pistola alla nuca e gettati alla rinfusa nelle fosse della foresta di Katyn. Tra questi c’era anche il padre di Andrzej Wajda.  

Tra nazisti e sovietici scoppiò in seguito la guerra, i tedeschi invasero il territorio nemico, scoprirono le fosse di Katyn ,riesumarono i dodicimila corpi degli ufficiali denunciando come autori del massacro i sovietici. Ma a guerra vinta e, a pace siglata, sovietizzata la Polonia, Stalin dettò la sua versione, attribuendolo ai tedeschi. Chiunque tra i polacchi osò opporsi alla menzogna, venne perseguitato, imprigionato, eliminato. I governi dei Paesi occidentali preferirono non immischiarsi e tacere.  

Il film di Wajda costituisce, sia pure cinquant’anni dopo, gesto forte di riparazione di una verità terribile lungamente nascosta e calpestata, e lo fa con il magistero formale di uno dei grandi della cinematografia mondiale.  

L’altro pensiero che irrompe dopo le immagini finali delle esecuzioni documentate quasi saggio raccapricciante di una tecnica di alta macelleria, è il seguente: come è stato possibile che una rivoluzione, quella sovietica,  nata come proposito e progetto di riscatto per gli sfruttati e gli oppressi della terra, si sia potuta trasformare in una macchina criminale capace di eliminare decine di migliaia di persone colpevoli soltanto di costituire ostacolo e problema tra sé e la minaccia di un temibile avversario? In nome dei nobili ideali del comunismo si è macellato e indotto in schiavitù un popolo nobile e pacifico come quello polacco. E poi: a quali livelli di manipolazione e falsificazione si può arrivare, avvalendosi di una propaganda valoriale e idealistica umanitariamente eccelsa?  

Il film, durissimo e straziante, andrebbe proiettato in tutte le scuole perché costituisce lezione di storia, etica e politica – e anche saggio terribile su quella che è la doppiezza ingannevole della natura umana: là dove un intero popolo è stato costretto nella parte di agnello sacrificale tra due colossi ideologicamente e militarmente mostruosi.

Gian Carlo Marchesini