Buen vivir – o della vita armoniosa.
Siamo affascinati dall’Ecuador e della Bolivia, siamo interessati e sensibili alle decisioni politiche dei rispettivi presidenti Correa e Evo Morales – noi italiani, noi della sinistra sociale in particolare. Gli indios nativi di quei Paesi, forti di essere maggioranza numerica, hanno vinto le elezioni finalmente democratiche, conquistato il Parlamento, eletto un loro Presidente e formato un proprio Governo. Hanno anche scritto una nuova Costituzione - l’articolo 1 di quella boliviana, ad esempio, vale la pena di essere riportato perché letteralmente dice: “La Bolivia si costituisce come uno Stato unitario sociale e di diritto plurinazionale comunitario fondato sul pluralismo politico, economico, giuridico, linguistico…”. E l’articolo 8 recita:” Lo Stato assume e promuove come principi etici e morali della società plurale le seguenti raccomandazioni: non essere pigro, non essere bugiardo, non essere ladro, vivi una vita buona e armoniosa (buen vivir), in una terra senza male e avviata su un cammino nobile.”
Letto ad alta voce da Nicoletta Rocchi, (della segreteria nazionale della CGIL, una delle relatrici alla presentazione del libro Buen Vivir di Giuseppe De Marzo – il libro è pubblicato da Ediesse, casa editrice della CGIL - ), l’articolo della Costituzione in effetti suona bene, e il centinaio di persone presenti alla Feltrinellli di Via V. E. Orlando scoppia in un applauso sincero. Il bugiardo e il ladro del testo sembrano poi messi lì apposta per malandrinamente alludere. Ma basterà sostenere solennemente che anche la natura ha pieno diritto di cittadinanza, per scongiurare la catastrofe ambientale prossima ventura? E se il modello cui tutti si ispirano e segretamente ambiscono fosse poi e in realtà quello opulento del bianco occidentale?
Buen vivir è un libro che racconta i buoni esempi di democrazia sociale partecipata di cui sono attori protagonisti movimenti sociali e popoli dei Paesi latino americani, Bolivia ed Ecuador in particolare, gli indios mapuche che li abitano in modo specifico. Le testimonianze di tali movimenti/comportamenti collettivi sono numerose, si vanno diffondendo con successo, impongono con la loro forza e tenacia un confronto e un rapporto dialettico con istituzioni e governi. Da quelle parti sfondano le barriere politico-istituzionali, sbotta Giulietto Chiesa intervenendo, agiscono con efficacia e ottengono effetti e risultati. Il guaio è che noi e voi, i nostri movimenti, la sinistra radicale e antagonista del nostro Paese, invece non influisce e non incide, non determina e tantomeno sfonda.
Il centinaio di partecipanti alla presentazione e successivo dibattito del libro sono espressione dei comitati e dei movimenti di lotta – L’Aquila No Deportazione, Piemonte No Tav, Vicenza No Dal Molin, Chiaiano No Discariche, Messina No Ponte, ecc. – si direbbero in effetti così amareggiati e frustrati, così impotenti e demoralizzati, così pochi e inadeguati rispetto a scopi e fini, da cercare un qualche conforto volgendo attenzione e sguardo all’America Latina, all’Ecuador e alla Bolivia, a Morales e Correa fino a ieri illustri sconosciuti (la Bolivia: ma non è la stessa dove anni fa il partito comunista si è dissociato e ha tradito il Che, che è stato così catturato e ucciso? E oggi dovrebbe insegnarci la strada della democrazia partecipata?)
L’autore del libro Giuseppe De Marzo, grande berretto di lana andina in testa ed energico slancio, ringrazia calorosamente uno per uno gli amici dei vari comitati, associazioni e movimenti presenti, annuncia che il libro sarà presentato in 48 città italiane, e poi si avventura in una spericolata spiegazione su concetto e teoria della “sociologia della scomparsa”. Alla fine mi par di avere capito che a scomparire è stata, e finalmente, proprio certa sociologia etno ed euro centrica. Ma non ne sono sicuro. Comunque, il suo intervento è un inno alla giustizia sociale, al mutualismo e alla valorizzazione della diversità, all’autogoverno e alla democrazia dal basso, alla responsabilizzazione collettiva, alle relazioni sociali orizzontali e all’educazione popolare. Tutte dimensioni ed esperienze che qui da noi non godono oggi di particolarmente buona salute, ma che invece avrebbero in molte parti e luoghi dell’America Latina, specialmente tra gli indigeni che hanno connesse e intrinseche nella loro cultura economia ed ecologia, il vento in poppa. (Attilio Wanderlingh, vecchio giornalista de Il manifesto e oggi responsabile delle edizioni napoletane Intramoenia, racconta nel suo ultimo libro intitolato Scappo via! di avere passato qualche settimana in una tribù di indios con un gruppo di amici animati da un progetto di solidarietà: e di esserne uscito con il corpo piagato dalle zanzare, con la dissenteria per l’acqua e il cibo che mancano, con la tristezza infinita per un popolo che sopravvive in una natura sempre più desertificata nelle sue risorse – siamo nel Mato Grosso dell’Amazzonia – e soprattutto con la sensazione di essere serviti a ben poco…).
Nella sua prefazione al libro, Adolfo Perez Esquivel, intellettuale argentino premio Nobe per la pace nel 1980 per il suo impegno contro la dittatura militare argentina degli anni Settanta, dichiara di apprezzare e condividere in particolare il giudizio che l’autore del libro dà della odierna crisi del capitalismo, che non può essere definita come congiunturale ma deve essere interpretata come qualcosa di strutturale e profondamente connessa alla crisi ambientale e sociale. Da qui l’urgenza di un cambio di modello di democrazia e di un ripensamento del paradigma di civilizzazione.
A cantare il requiem finale interviene Gianni Minà, che regola i suoi conti aprendo il fuoco contro il quotidiano spagnolo El Pais, reo di essere stato fondato da un intellettuale franchista, che ospita oggi, degli intellettuali dell’America Latina, soltanto gli interventi di Vargas Llosa, e che inneggia all’acquisto della principale compagnia aerea argentina da parte della spagnola Hiberia, giudicandolo indignato come un atto in puro stile economico neo coloniale. Denuncia inoltre il fatto che la rivista da lui fondata e che dirige da nove anni, Latinoamerica, non ha mai finora ottenuto un minimo di attenzione, anche una sola nota di recensione da parte di nessun giornale italiano, sia di destra che di sinistra. Insomma, silenzio e rifiuto. E conclude sostenendo l’assunto che, sterminate 500 anni fa, oggi le popolazioni indigene possono salvare il mondo.
Tra le i concetti più ripetuti negli interventi ne spiccano alcuni degni di segnalazione. Ad esempio: per salvare il pianeta e l’umanità, serve frugalità. Oppure: basterebbe avere a disposizione un cinquecentesimo dei denari regalati nell’ultimo anno dai Governi per salvare le grandi banche, per finanziare un piano capace di abbattere drasticamente e rapidamente la piaga della fame nel mondo. E ancora: due gradi in più di temperatura media nei prossimi anni, ed entro il 2050 buona parte delle coste del globo saranno sommerse dallo scioglimento dei ghiacciai, provocando problemi e guai al miliardo di persone – contadini, pescatori – che campano lavorando e vivendo lungo le coste.
Se assunto come testimonianza di ciò che sotto il profilo socio-politico-culturale si sta muovendo oggi in America Latina, il libro è importante. E laggiù sembra davvero si stiano facendo cose importanti a favore della salute e del benessere – del buen vivir – di molti. Attenzione però a non mettere nella lettura troppe frustrazioni e attese di risarcimento per le difficoltà e gli insuccessi da cui siamo noi qui afflitti. Quasi che, che per cercare conforto, fossimo oggi costretti a volgere uno sguardo di speranza… agli indios mapuche! Niente in contrario, certo, e tutto il rispetto per gli indios mapuche: a me pare però che questa, inconsapevole e imprevista, rischia di diventare una delle principali reazioni di lettura del libro. Che invece è molto più proficua se occasione di una seria riflessione e confronto qui e ora al nostro interno.
GianCarlo Marchesini