Coraline
Ovvero la sfida di guardare il mondo con gli occhi aperti: a undici anni, quando ancora non hanno preso il sopravvento ipocrisie, ipocondrie, fobie.
Quanta illusione siamo disposti a tollerare pur di non guardare il mondo a occhi aperti? Il film d’animazione Coraline - regista Henry Selick, autore, insieme a Tim Burton, di Nightmare before Christmas – ci parla della solitudine dell’infanzia e del fallimento del mondo degli adulti, dell’imperversare al suo interno di ambiguità e ambivalenza, delle troppe tecniche di ribaltamento e dell’esistenza inquietante di un parallelo doppio. Siamo in presenza di un grande racconto di formazione, ci descrive un mondo-incubo dove l’apparenza è capace di nascondere ogni tipo di trappola, un mondo degli adulti da cui viene richiesta imperiosa e ultimativa di cambiare i propri occhi e di rinunciare all’autenticità del proprio sguardo sulle cose, del proprio autonomo punto di vista, sostituendolo con uno imposto, standardizzato, depotenziato, in buona sostanza adattativo e giulivamente cieco. Insomma, il mondo rassicurante e fasullo del Mulino Bianco.
Crescere per l’infanzia – ci dicono gli autori del film – significa affrontare questo dramma. Coraline, come tutti i bambini del mondo, è colei che deve morire a se stessa, alla propria sincerità e indipendenza, alla propria originalità e autonomia. Solo che la ragazzina inventata e proposta dal film è proprio tosta, non si arrende, non rinuncia, e insieme a se stessa vuole liberare dalla prigione delle apparenze in cui sono stati, o si sono rinchiusi, gli altri ragazzini, l’amico Wybie, i genitori e i simpatici vicini di casa. Anche qui irrompe – come in Totoro di Myazaki – la poetica del mondo che può essere salvato solo dai ragazzini: come d’altronde suggeriva fin dal titolo lo stesso poemetto di Elsa Morante.
Ma riprendiamo il filo della trama del film con un poco d’ordine. Coraline vive una ben triste e deprimente realtà, quella di due genitori talmente assorbiti dal lavoro – la composizione meticolosa ed esaustiva di un catalogo di giardinaggio, oibò! – da sottrarli quasi completamente a lei, a sé stessi e alla vita. Non danno ascolto, non prestano attenzione, non si occupano della casa, per i pasti preparano svogliatamente qualche intruglio insipido. Stanno perennemente seduti al computer, pigiano ossessivamente sui tasti, lo sguardo incollato al monitor. Cascasse il mondo, da lì non si muovono. Coraline ne soffre, si guarda disperatamente intorno alla ricerca di un aiuto, che le viene fornito da Wybie, un ragazzetto sempre in agitato movimento (all’inizio non si prendono e litigano, ma questo, come in Totoro, è un classico della nascita a quell’età di un grande amore) e il suo gatto simpatico e impiccione. Finché la ragazzina, seguendo le tracce di una banda di notturni topolini, scopre una porticina segreta e accede a un universo parallelo. Vi scopre una casa che è esattamente come la sua, ma pulita, efficiente, viva e colorata; e una coppia di genitori identici ai suoi, se non fosse che sono ricchi di tutte le doti e qualità che proprio ai suoi genitori reali fanno difetto. La vezzeggiano, chiacchierano simpaticamente con lei, la circondano di amorose cure, le preparano pasti che sono manicaretti succulenti. E poi, non passano il tempo a riempire cataloghi di giardinaggio, ma coltivano un vero e proprio, splendido e meraviglioso giardino. Solo che… solo che al posto degli occhi hanno due bottoni! insomma, non sono autentici, sono finti. Peggio: Coraline scoprirà che sono due creature malefiche, recitano la parte della perfezione e dell’amore pieno per meglio sedurre, catturare, imprigionare, trasformare le prede in ectoplasmi svuotati di ogni identità ed energia specifica.
Il film continua con altri sviluppi e colpi di scena che è bene che ognuno scopra da sé, incluso l’immancabile lieto fine, ma basta quanto raccontato per poterne ricavare una chiave di lettura. Il film è una rappresentazione evidente del tema dell’ambivalenza, della terribile discrasia dentro le persone e nelle loro relazioni tra i desideri, i bisogni, le aspirazioni profonde, e l’esperienza quotidiana del reale. Vorremmo avere il meglio di tutto – protezione, riconoscimento, amore – e invece abbiamo poco o niente. Ci aspettiamo benessere e felicità, allegria e bontà – specialmente da mamma e papà – e una onesta e trasparente sincerità: e spesso ci ritroviamo accanto degli estranei per nulla attenti e ben disposti, il più delle volte accigliati e svogliati, perfino annoiati e seccati dalla nostra presenza. Quel che è peggio, ci rendiamo conto che giusto il teatrino dei buoni sentimenti, delle belle parole dolciastre – tesoro! amore! –, le moine e i complimenti ripetuti ed esibiti, proprio quella è maschera che nasconde indifferenza, insofferenza, impulsi di aggressività distruttiva e ostilità. Noi non siamo quello che pensiamo e diciamo di essere, noi siamo altro, qualcosa di molto diverso, spesso di molto peggio. E – come sostiene il filosofo e psicoanalista Slavoij Zizek – mentiamo per tenere in piedi una parvenza di coesione famigliare e sociale, per evitare l’irrompere delle furie del disordine e del caos che ci costituisce e dal quale siamo circondati.
Insomma, benissimo girato, ottimamente animato con le diavolerie e tecniche cinematografiche ultra moderne, Coraline è una piccola e splendida opera filosofica, poetica e perfino un po’ inquietante e dura – insomma, più adatta agli adulti che ai bambini. Ruota intorno a una domanda di fondo: ma insomma, chi siamo realmente noi, che consistenza e integrità e coerenza reale ha il mondo in cui viviamo, queste persone che chiamiamo mamma e papà e che nominalmente sono pronte e disposte a darci tutto, e poi scopriamo essere, bene che vada, distratte e indifferenti, peggio, matrigna e megera lei – la strega! -, carnefice e orco lui, pronti, se non ci togliamo dai piedi, a tapparci la bocca e sostituirci gli occhi con dei bottoni per impedirci di vedere, chiuderci nella prigione del controllo e nella ragnatela delle mille ipocondrie e fobie per poi gettare soddisfatti la chiave.
Veramente un bel film, Coraline. Alla fine ci si guarda intorno e dentro, inquieti e un poco anche allarmati, sicuramente più consapevoli e avvertiti. Chi sono realmente quelli con cui quotidianamente viviamo: quelli che ci hanno amorosamente dato la vita, e la mantengono e arricchiscono, o quelli che allo stesso tempo ce la nascondono e tolgono? E se fossero tutti e due? Comunque, toccherà tenerli alla giusta distanza e congedarli al più presto, prendendoci una più sicura e autonoma cura di noi.
(Il problema però pare si riproponga quando, diventati pure noi adulti e genitori, trasmettiamo ai figli regole e valori, modelli e comportamenti, codici e statuti che provengono da e devono fare i conti con la società che ci circonda, e con quanto abbiamo avuto in eredità e interiorizzato anche noi, quando eravamo bambini, dai nostri genitori. Sarà poi questo il senso della frase così spesso ripetuta: “è la vita che continua”? Ma Coraline ci dice che quella non è una vita così autentica e vera, anzi).