Ai miei amici che votano Bersani

Ho scoperto che tra i miei amici, alcuni, più di quanti non immaginassi, hanno deciso di votare alle primarie per Bersani. I miei amici che votano alle primarie Bersani sono persone colte, accorte, professionalmente serie e impegnate. A volte però, quando parliamo di politica, colgo nel loro sguardo una luce di sufficienza un po’ furba e, insieme, a velarla, un’ombra più impenetrabile e scura. E come avvisassero, anche senza volerlo, che loro ne hanno viste tante, per cui oggi ne sanno sicuramente più di chiunque. Ma siccome io credo che dietro a ogni scelta importante ci sia - implicita o esplicita, detta o non detta - una visione, una concezione della vita, voglio provare ad indagare il caso della scelta tra i candidati alle primarie seguendo il filo fornito da questa chiave di lettura.

Io credo che a orientare un percorso di vita sia presente e agisca un ventaglio di posizioni legate alle credenze profonde di ognuno, frutto di una certa esperienza, il cui perno costituisce il senso e il valore che si dà alla vita stessa. Da una parte ci sono bisogni e desideri, aspirazioni e ambizioni potenzialmente illimitati, dall’altra una realtà fattuale di opportunità e risorse drasticamente limitate. Cosa succede in noi, cosa si decide nel momento in cui ci si rende conto che non ce n’è illimitatamente per tutti? O si prende una strada, per esempio quella della contrattazione e concertazione con criteri e regole chiari e condivisi per suddividere quello che c’è in parti sostanzialmente uguali (chiamatela vangelo cristiano della comunione dei beni, valori e principi di socialismo e comunismo, visione pragmatica e temperata di un keynesiano welfare), oppure si sceglie una strada diametralmente opposta: quella, magari velata e camuffata, della giungla, dell’homo homini lupus, del darwinismo interpretato in chiave più o meno elitaria e selettiva. Milton Friedman in economia, Bernard Madoff nell’uso della finanza, per intenderci, di questa seconda posizione sono campioni. Ovviamente non tutti sono Madoff, come non tutti gli uomini di indirizzo opposto sono francescani puri o integerrimi monaci stiliti. Nell’arco del ventaglio si collocano rappresentativamente bene, in forte e netto contrasto tra di loro, il falco repubblicano Bush e la colomba nera Obama. Il primo è incarnazione di un modello e di una visione di chi è rapido nell’uso del randello se qualcuno si avvicina a mettere in pericolo il proprio malloppo – o a rotearlo minacciosamente e a colpire duro pur di accrescerlo. Per tale concezione la diseguaglianza è congenita e perfino congeniale e benefica alla natura umana: il più forte ha più diritti, il più debole è bene si accontenti e taccia, se poi si ribella si beccherà un sacco di legnate. Insomma, nella naturale e inesorabile scala gerarchica, ognuno deve saper stare al suo posto, e chi lo decide è la logica della forza. Il secondo, impersonato da Barack Obama, collega e connette le diseguaglianze alle ingiustizie, gli egoismi e le rivalità ai conflitti, lavora quindi per una più equa ripartizione delle risorse attraverso il metodo del confronto, della trattativa, della concertazione, dell’accordo. Certo non è un francescano, non ha a che fare con una rigorosa opzione per la non violenza, ma ha capito che il ricorso alla violenza è parte e concausa dei problemi, non la loro soluzione.

Nel nostro caso particolare non così impegnativo ma comunque rappresentativo delle primarie, meccanismi e filosofia di fondo non sono nella sostanza diversi. Io credo che chi sceglie Bersani sia mosso da un giudizio sottostante sulla natura umana e sul vivere sociale piuttosto pessimistico e scettico, e da un modo di affrontarli piuttosto duro e cinico. C’è di mezzo il problema della conquista del potere, e il potere per sua natura è violento, comporta e genera esclusione, ha di suo specifico, se del caso, il ricorso all’uso della forza, e il ricorso all’uso della forza implica automaticamente una sua possibile estensione in termini di punizione e forte sofferenza, con il fantasma, o con la sua materializzazione possibile e terribile, della somministrazione della morte. Per dirla fuori dai denti: il potere ha a che fare con il conflitto, e il conflitto non è cosa da femminucce, perché può anche tradursi in scontro dispiegato e guerra. Non a caso uno dei refrain martellanti della campagna di violenta critica dei repubblicani contro Obama è focalizzato sulla denuncia di emasculation (svirilizzazione) a cui il nero (e samoano e kenyota) starebbe tragicamente portando gli USA.

Io dico che tutto questo sta dentro, agisce e condiziona, a qualche livello più o meno consapevole, anche la scelta del popolo dei democratici tra Bersani, Marino e Franceschini, candidati a guidare una forza politica che ambisce a dirigere il Paese. Al cospetto di questa scelta non ci si può porre senza rispondere alla domanda: a chi affideresti tu l’incarico di rappresentare, guidare, proteggere te, la tua vita, la tua famiglia, i valori e i principi in cui credi, i tuoi interessi e beni? Il punto è che stiamo abbastanza male da avere bisogno di un uomo esperto, energico e duro, ma forse (noi italiani) non stiamo così male da avere bisogno di un uomo completamente nuovo. C’è anche da dire che sotto la spinta della crisi, e dei suoi molteplici, giustificati o gonfiati allarmi, tra questa sinistra reduce da tanti fallimenti e una destra rozza ma rampante e nerboruta, è comprensibile ci sia chi si sente più garantito da questa seconda. E questo clima e contesto è ovvio producano riflessi e ripercussioni anche nella scelta del candidato segretario del Pd. E poi, anche laddove abbiamo una volta creduto alla possibilità di una radicale riforma, di una rivoluzione addirittura, oggi molti anche a sinistra non ci credono più. Si accontentano di qualcuno capace di tutelare quel poco di buono che è rimasto, tanto, per finire nel peggio del peggio c’è sempre tempo. Bersani rappresenta l’immagine rassicurante dello zio saggio, concreto e sbrigativo, con il pelo sullo stomaco, capace di mediazione ma anche, nel caso, di menare le mani. Franceschini può sempre dirigere l’Arci o i boys scouts. Marino, infine, può continuare a fare trapianti, che lì ha dimostrato di sapere fare bene. Ma per fare politica in un momento difficile e duro non è cosa.

Io credo che chi il 25 ottobre alle primarie del Pd vota Bersani, negli Stati Uniti, di fronte alla scelta tra Hillary Clinton e Obama, avrebbe sicuramente votato la prima. E fino a qui poco male. Ma, secondo me, qualcuno, piuttosto che per una donna o per un nero, avrebbe istintivamente votato anche per quel vecchio galantuomo patriota di McCain.

Sono perfino incline a immaginare qualcuno dei bersaniani – quelli, ad esempio, che prediligono la lettura de Il Foglio e Il Riformista a quella dell’Unità - borbottare: ah, se solo Berlusconi non fosse così impresentabile per le barzellette e le uscite maldestre, per certi vezzi conclamati e vizi sbandierati! Voi dite che esagero? Ma perché, il patto tra Fazio, Fiorani, Consorte (ispiratori D’Alema e Fassino) e il metodo seguito nella scalata alla Bnl, o il comportamento dei soliti deputati Pd in Parlamento, pronti a non farsi trovare nei momenti critici o a votare addirittura per l’altra parte - o Loiero capolista in Calabria, Bassolino e Iervolino in Campania, inducono a pensare diversamente? (Leggete, vi prego, la icenda della sezione del Pd di Castellammare di Stabia e dell’uccisione del consigliere comunale Tommasino: l’assassino era uno degli iscritti della sezione, che ha visto crescere i propri soci di ben 3000 in una sola settimana. Ma anche senza tali patologici boom camorristici con annesso omicidio, cosa sono spesso diventate le sezioni di partito: sedi di elaborazione e iniziativa politica al servizio della collettività, o luoghi di gestione delle carriere, degli appalti, degli affari personali, di gruppo, di cordata e di clan?)

Infine, lasciatemelo dire, se a capo di quella che è ancora la più grande potenza planetaria è potuto arrivare un nero nato nelle Hawaii e figlio di padre kenyota, possibile che persino la parte più avanzata di questo Paese abbia così tanta difficoltà ad accettare uno scienziato di prestigio mondiale esperto nei trapianti, credente profondo e laico rigoroso – in questo paese di simonie, imbrogli e miscugli – e preferisca uno zio rassicurante e saggio perché esperto in “lenzuolate” più roboanti che effettive, candidato non in proprio, ma in nome e per conto altrui? Ma la Binetti bigotta e omofoba che dichiara di votare Bersani, a voi lascia indifferenti? E se la cosa in Italia più difficile da fare e rivoluzionaria fosse proprio quella più necessaria, e cioè premiare capacità e requisiti di scienza, merito e competenza, piuttosto che l’esperienza in furbate correntizie, conoscenza nei meccanismi delle diavolerie e altre mariolerie?

P.S: Ora succede che , siccome si profila la possibilità che il terzo votato tra i candidati, e cioè verosimilmente Ignazio Marino, possa determinare l’elezione del nuovo segretario, ecco spuntare Scalfari ospite della Dandini, il quale così ineffabilmente argomenta: non è accettabile che il terzo arrivato abbia il potere del king maker: quindi io propongo che il nuovo segretario non sia eletto dai membri del congresso, ma coincida con quello che alle primarie ha avuto il maggior numero di voti, anche là dove non superi il 50%. Bersani e Franceschini hanno immediatamente risposto di sì. Ma come, un regolamento congressuale sia pur unanimemente riconosciuto lacunoso perché ricalcato sul sistema elettorale vigente – in buona sostanza tutto è deciso dall’alto – che in presenza del profilarsi dell’eventualità che possa essere Marino ad avere un qualche peso significativo viene disinvoltamente accantonato, accettando così che purché non sia lui a farlo, il king maker decisivo sia… Eugenio Scalfari!?! E questo sarebbe un partito democratico? Un dubbio: ma non è che la gran parte dei gruppi dirigenti del Pd soffre Ignazio Marino – strutturalmente, idiosincraticamente – come un fastidioso corpo estraneo?

Se Marino non si fosse presentato come candidato, non mi sarei in questa vicenda congressuale del Pd impegnato. Io non nasco politicamente perché legato a un partito: io cerco di capire il momento e la situazione particolare e specifica per dare il mio personale contributo alle battaglie che ritengo giuste. A vantaggio di chi, spero non sia necessario spiegarlo. Lo trovo ovvio, altrimenti che si campa a fare? Le fortune personali dei leader non mi appassionano più di tanto. I leader che si ritengono tali a vita, e a prescindere, mi annoiano e indignano. Marino – ahimé, forse ancora non così adeguatamente esperto e navigato come oggi sarebbe necessario – incarna ed esprime esattamente ciò di cui, secondo me, la sinistra e questo Paese hanno bisogno: in termini di pulizia, onestà, serietà, linguaggio chiaro, netto e trasparente, merito acquisito e competenza dimostrata, religiosità riservata, spirito laico e impegno per diritti e doveri uguali per tutti. Rispetto al politichese corrente lui rappresenta ed esprime la dimensione della responsabilità morale, sociale e civile in assenza della quale la politica è il teatrino/disastro cui da troppo tempo assistiamo. Non appoggiarlo è una delle poche occasioni rimaste ulteriormente persa. Ma immagino che molti appoggeranno il candidato fornito di un più rassicurante e tradizionale political appeal. E questo, secondo me, a danno del Pd e dell’intero Paese.

Gian Carlo Marchesini