Frammenti metropolitani
Maschile plurale
Il pensiero esplicito, proposto negli opuscoli e nei volantini, è ottimo e condivisibile. Si presentano come uomini che rinnegano la propria componente bastarda e oscura – la pulsione alla prepotenza e alla sopraffazione – e solidarizzano con la protesta delle donne che quella prepotenza da millenni subiscono. Come si può non essere d’accordo? Poi ci si guarda intorno, nella bellissima Piazza Farnese dove l’Associazione “Maschile Plurale” ha piantato le sue tende. E si è costretti a prendere atto che gli uomini presenti attorno a tavolini e banchetti sono appena una trentina, meno dei poliziotti che presidiano armati gli angoli della Piazza. Sono uomini “maschili plurali” sia questi che quelli, rappresentano due tribù esattamente opposte. I primi parlano di ascolto, disponibilità, attenzione, rispetto, non violenza, empatia, i secondi sono invece portatori emblematici dell’imperio della legge, dell’autorità, della forza. Sono in piazza compresenti, fingono di ignorarsi e perfino di vedersi. Se la prima tribù fosse coerente fino in fondo con il suo paradigma di ecumenica e disarmata non violenza, dovrebbe avvicinare la seconda, quella arcigna e superarmata, per convincerla delle proprie buone ragioni e contribuire a scioglierla e disarmarla. Invece se ne sta all’interno del proprio cerchio di gazebo, dove si suoi componenti si abbracciano e sorridono, si fotografano e riprendono e intervistano con un compiacimento mediatico narcisistico. Ecco – sembrano dire – siamo qui, siamo noi, pochini ma tanto bravi: venite ad ammirarci, e se voi non lo fare, lo facciamo da soli e tra di noi. Intorno transitano inesauste le colonne di turisti in transumanza, ai ristoranti ai lati della Piazza i tavoli sono pieni, le mandibole lavorano metodiche, bicchieri e forchette tintinnano. Il centro storico di Roma, i suoi luoghi classici, accolgono da sempre tutto e il suo contrario: oggi viene esaltato il libero e trasgressivo pensiero, ieri si inneggiava ai papi e si arrostivano gli eretici. Questa è veramente la Città Eterna…
Basta!
Le donne che partecipano al corteo – auto convocato dalle centomila che su internet hanno firmato contro la violenza esercitata sul corpo femminile dalle politiche e dalle mani del maschio – non superano il migliaio. Loro dichiarano di essere presenti in diecimila, m non è vero, e questo non è bello. Per dimostrarsi coerenti, non si può protestare contro la violenza dei maschi, e poi esercitarla a propria volta sui numeri. Oltre agli striscioni in testa al corteo con specificate le parole d’ordine, l’unico messaggio inalberato sui cartelli si compone di una sola parola: Basta! Ora, questa può anche costituire una scelta dalla sua efficacia, ma se le donne presenti a gridarla sono poche, e manca l’energia della musica, del grido, della fantasia, dell’allegria, finisce che il corteo appare una sfilata spenta e un po’ spettrale – specie se l’approdo e nell’immensa Piazza San Giovanni presidiata dalla polizia in grottesca sovrabbondanza. A me è venuto spontaneo ripensare ai cortei di donne degli Anni Settanta: l’energia, la festa, la ribellione e la provocazione, la satira pungente e irridente, la creatività, la fantasia, la rabbia e la gioia di quegli anni sembrano oggi qui del tutto scomparse. Non voglio dire che colpa e responsabilità sono delle donne: brave quelle che comunque sabato hanno manifestato, ma il clima di oggi è segnato da quell’unico ossessivamente ripetuto Basta!, contro l’ex socialista Sacconi che su mandato del Vaticano pretende di imporre l’assunzione della pillola abortiva solo alle donne che si ricoverano in ospedale. E’ proprio vero, se Dio disse: partorirai nel dolore, il Vaticano e il ministro Sacconi oggi vogliono che la vergogna e il dolore accompagnino anche l’aborto. A decidere sul corpo delle donne hanno da essere sempre i maschi. Come segni della miseria dei nostri attuali tempi, direi che non c’è male.
Gian Carlo Marchesini