Germania Anno Zero e la celebrazione del trentennale della caduta del Muro.

La storia raccontata nel film di Rossellini, girato nella spettrale e distrutta Berlino del 1947, è quella di un ragazzino di dodici anni persuaso dal maestro di scuola che lo indottrina sulla necessità di eliminare i deboli e le bocche da fame inutili: e pensando così di aiutare la sua famiglia in serie difficoltà economiche, avvelena ed elimina il vecchio padre in stato di infermità, quindi peso gravoso e inutile sul già miserabile bilancio famigliare. Al resoconto del crimine compiuto, invece di ricevere gli elogi viene dal maestro respinto e sconfessato, si rende così conto della gravità insostenibile di quanto commesso, si allontana da casa disperato e vagola inebetito tra palazzi sventrati e strade invase dalle macerie, e poi, schiacciato dal rimorso, si suicida gettandosi nel vuoto.

Ho visto Germania Anno zero ieri sera per la prima volta. Girato a Berlino nel 1947, ha vinto l’anno successivo il Pardo d’oro al festival di Locarno. Non avevo idea che, dopo la sconfitta del nazismo, Berlino fosse ridotta in quel modo, una città di rovine spettrali, gli abitanti a vivere pigiati in più famiglie dentro i pochi appartamenti ancora in qualche modo agibili, angosciate dall’assillo quotidiano di recuperare qualche patata e del tè per farne una bevanda e una zuppa calda. Basti dire che farsi ricoverare in ospedale era per un vecchio malato considerato un terno al lotto, perché consentiva di avere garantito la mattina un po’ di latte, a pranzo un po’ di carne, la sera una tazza di brodo. Per avere una tessera annonaria indispensabile per ottenere una razione quotidiana di cibo bisognava lavorare duramente di pala e piccone a sgomberare macerie o ad aprire nel cimitero fosse. Per avere qualche decina di marchi per acquistare beni ambiti come il sapone o un paio di sigarette, bisognava riuscire a vendere qualche vecchio prezioso oggetto di casa al mercato nero o, per le ragazze, frequentare locali notturni dove rendersi disponibili con i militari delle truppe occupanti. La fame, il freddo, le privazioni di ogni genere, erano terribili. Tutti erano costretti a ingegnarsi, a escogitare trucchi, imbrogli ed espedienti pur di sopravvivere e tirare stentatamente avanti.

Vedere un film così, fare contatto con una realtà come quella tragica di Berlino nell’immediato dopoguerra, costituisce termine di paragone che intanto relativizza e ridimensiona la realtà della crisi economica attuale. Poi c’è la storia raccontata dal film, e quel terribile contesto storico è da Rossellini intelligentemente utilizzato per rendere meglio la verità sconvolgente la tragedia. Il dato choccante è che a condurre quella vita disastrata – chi è abile e robusto accetta qualsiasi tipo di lavoro in cambio di una razione di cibo, chi è giovane e sessualmente appetibile, donna o ragazzo che sia, si vende al primo militare o vecchio sporcaccione – non sono extracomunitari clandestini, ma praticamente tutti gli abitanti di Berlino, grande o piccola borghesia che fino a qualche anno prima godevano di un elevato tenore di vita, e dei privilegi di vivere in un Paese imperialista dominatore.

Rossellini piazza la sua cinepresa come un occhio lucido e appassionato dentro la città, e gira la sua storia scarna e terribile calandola in quello scenario di distruzione e morte: i due elementi, psicologie e vicende dei protagonisti, e contesto storico, reciprocamente consoni e coerenti. Non a caso il grande regista definiva il suo stile, il realismo, come “forma artistica della verità”. Sulle rovine di una apocalisse storica Rossellini mette in scena una storia che è, in panni contemporanei, una antica tragedia greca. Il ragazzino che alla fine si copre gli occhi con una mano per lanciarsi senza un grido nel vuoto è l’immagine delle conseguenze che può produrre un delirio di follia collettiva. Germania Anno Zero è un monito del livello di abiezione e degrado cui è capace di arrivare l’umanità. A una Germania che dopo avere tradito le sue radici si affaccia tramortita a un futuro di desolazione, non rimane che gettarsi nel vuoto dall’alto delle macerie che essa stessa ha provocato.

Cosa mi ha indotto a vedere con tanto ritardo un film che mi ero colpevolmente perso? L’averlo sentito citare da amici come capolavoro assoluto, e in questo rendo loro piena ragione: e poi le celebrazioni in atto del trentennale della caduta del Muro e la descrizione sui giornali di una Berlino giudicata oggi la città più glamour e giovanile, più rutilante e divertente, più meticcia e godibile tra le capitali europee. Leggendola oggi così raccontata, e ascoltandone le descrizioni ammirate di chi ne è reduce, viene da pensare che Germania Anno Zero sia stato girato dentro un cratere lunare, o centomila anni fa.

Gian Carlo Marchesini