Pier Luigi Celli: dolente coscienza critica o doppiezza del genio manipolatore?

Esiste un Pier Luigi Celli conosciuto come uomo colto, scrittore abile, professionalmente collocato a un livello di potere manageriale importante da tempo immemorabile. (Non è quello che nel luglio 2000 ha avuto la trovata geniale, in qualità di direttore generale, di pretendere più massiccia la pubblicità in RAI, malgrado il canone? E non è transitato ai massimi livelli di Eni, Omnitel, Olivetti? E non è stato responsabile della Corporate Identity di Unicredit dal 2002 al 2005, anni notoriamente di grande morigeratezza finanziaria del mondo bancario? E non è attualmente nei consigli di amministrazione di Lottomatica, Hera Spa e Messaggerie Libri?). Oggi, sempre nel suo prediletto ruolo di direttore generale, questa volta della Luiss, libera università privata emanazione della Confindustria, scrive una pensosa e dolente lettera al figlio pubblicata in prima pagina de La Repubblica. E la scrive in un modo che verrebbe da pensare a un signor Celli modesto impiegato bancario, o dottore commercialista, o insegnante di Liceo di provincia che guardandosi intorno, e impressionato da quel che vede, ritiene doveroso invitare il figlio bravo e diligente a cercare il suo futuro migliore lontano da qui. Ma se Celli è invece Pier Luigi, l’uomo di potere trasversale, incessante, bulimico e consolidato che conosciamo, quello proprio non può concludere la sua diagnosi amarissima sul disastro che è diventato questo Paese sollecitando il figlio a mettersi in salvo e a espatriare. Perché buona logica, buon senso e specialmente un briciolo di carattere etico vorrebbero che dopo quella diagnosi Celli concludesse denunciando le proprie responsabilità e annunciando il suo, di exit, le proprie irrevocabili dimissioni. Invece no. Lui in questi ultimi decenni è stato una sorta di esploratore gironzolone e curioso, è saltabeccato di palo in frasca, un po’ qui e un po’ lì, sempre e comunque su posizioni e postazioni che gli garantissero un osservatorio di top management privilegiato e ben retribuito da cui individuare e piluccare spunti e materiali utili ai suoi libri, pubblicati regolarmente anno dopo anno, l’ultimo cinico a partire dal raccapricciante titolo (autobiografico?): Comandare è fottere edito da Mondadori. Ora Pier Luigi Celli, direttore d’orchestra e Fregoli dai molti abiti e ruoli, esce dal cilindro il suo capolavoro. Tira dentro il gioco anche il figlio, e gli appioppa la parte che dovrebbe invece assumere lui, quella cioè di chi sarebbe proprio meglio uscisse di scena. E questo è un escamotage geniale, perché in questo modo lui, assumendo la parte nobile del padre preoccupato che vuole salvare il figlio, in realtà nasconde la vera parte che anche lui, come altri suoi sodali e coetanei padri potenti, ha in questi decenni avuto: e cioè la parte di Crono che, dichiarando solennemente il contrario, distrugge e divora i propri figli. Insomma, per quanto mi riguarda, Pier Luigi Celli, proprio per la sua straordinaria, disinvolta e cinica intelligenza, è, tra le tante genie malefiche double face che affliggono questo Paese, forse la peggiore. Lui è qui e là, dappertutto e in nessun luogo, è il grande prestigiatore che gioca di volta in volta la carta addolorata e preoccupata, o quella ghignante e sulfurea, o quella spietata e cinica. Ma almeno lo facesse da uomo semplice e spoglio di alti incarichi e ruoli, di prebende e carature: no, lui è sempre ben saldo in groppa al miglior cavallo, nel suo eterno ruolo di potere pietrificato. Lui è per antonomasia l’inaffondabile, l’inamovibile. Che al posto suo si muova, espatriando, il figlio. Chi dei due realmente così si salvi non è chiaro. Per quanto mi riguarda, il Pier Luigi no di sicuro.

P.S. Nel Tg3 della notte, il Nostro viene intervistato sulle ragioni della sua lettera aperta al figlio. La giornalista chiede a Celli cosa suggerisce ai ragazzi nella triste condizione in cui si trovano. E Celli risponde: devono fare attenzione a scegliersi dei buoni insegnanti nell’Università giusta. Ma guarda un pò, a parlare non è il direttore generale di una università privata, iscriversi alla quale costa un cospicuo pacchetto di soldi, e a intervistarlo in qualità di giornalista non è la moglie di… Marrazzo? E non dovrebbero costoro essere invece lì tutti e due a ruoli invertiti, a rispondere cioè alle molte domande su eticità, coscienza e coerenza che i figli avrebbero da fare a simili genitori? E poi uno dice di temere di avere le traveggole…

Forse il vero quesito andrebbe posto in questi termini: chi tra gli adulti di pubblico e maiuscolo potere oggi in Italia ha le carte in regola per dare ai giovani consigli perentori e risolutivi? E chi si avventura a farlo, lo fa coerentemente a un modello di condotta da lungo tempo virtuosamente, civicamente praticato, o per coltivare e accrescere ulteriormente quello stesso potere che da una vita coltiva e accresce?

Gian Carlo Marchesini