Ponyo

Anche in Ponyo, film del grandissimo settantenne eppur sempre verde Myazaki, un messaggio di speranza e una possibilità di salvezza per il mondo in grave difficoltà vengono riposti in due intrepidi bambini di cinque anni, nel maschietto Susuke ma specialmente nella femminuccia nata come pesciolino rosso nel mare, battezzata Ponyo, prigioniera di un sortilegio che le impedisce di essere pienamente umana, e che finalmente umana diventa perché si innamora di Susuke che le fa da salvatore e cavaliere Insomma, Myazaki ci dice che è l’amore a rendere pienamente umani. Ma nel film sono le molteplici figure che incarnano e interpretano il principio femminile a dominare. Ponyo innanzitutto, inarrestabile nella sua voglia di capire, conoscere, trasformarsi e crescere; Risa, mamma di Susuke, impegnata e soccorrevole in mille occasioni e situazioni; la Gran Mar Madre, mamma di Ponyo e regina degli abissi, essere affascinante e stupendo che incarna la quintessenza della bellezza femminile e della generosa maternità creativa; e, infine, perfino le indomite vecchiette della casa di riposo, curiose e vispe e disposte, malgrado l’età, a sempre nuove avventure. Gli uomini o non ci sono – il marito di Risa e padre di Susuke, capitano di una nave che sta perennemente al largo; o intessono trame - Fujimoto, il papà di Ponyo, gran stregone degli abissi dove si è rifugiato dopo delusioni e tradimenti subiti dagli esseri umani. Uomini lontani o rancorosi perché sconfitti, quindi. (Va qui però segnalato un dato quantomeno curioso: a esaltare la condizione infantile e femminile è un maschio di settant’anni: non è che così ci si scarica, sia pure poeticamente, di ogni responsabilità allocandole su tenere, gentili e incolpevoli spalle altrui?) Nel corso della visione del film, stupefacente nel suo splendido linguaggio animato, ho colto alcune espressioni che mi sembra giusto riportare. La prima riguarda la Gran Mar Madre, che dice al pesce figlia che vuol diventare umana: guarda che il prezzo che in questo caso si paga è di rinunciare ai poteri della magia (cioè, intende dire, a ogni illusione consolatoria che si perde uscendo dal gran mare dell’infanzia?). La seconda, quando qualcuno sostiene che il senso e la felicità nella vita consiste nel mettersi al servizio e nel prendersi cura; la terza, l’invito della madre, formulato con voce dolcissima: adesso riposate, bambini – invito riferibile anche a un bisogno per il quale mai come oggi tutta l’umanità avrebbe bisogno di sentirsi fare. (La notte ho fatto un sogno. Mi prendevo cura di un bambino forse di un anno. Ci giocavo, lui un po’ ci stava, un po’ si sottraeva, io ridendo lo riacciuffavo. Poi, all’improvviso, gli ho dato un bacio sulla bocca, ma di una intimità diretta tale che io stesso per primo mi sono meravigliato. Con i bambini così piccoli non si fa. Ma sapete, in sogno… Devo dire che è stato un gesto di una intensità tale che ancora adesso ne percepisco sotterranea l’eco. Ecco, forse Ponyo è un film così poeticamente riuscito che è anche terapeutico: ti entra dentro fino a riconciliarti con la tua parte bambina).

Gian Carlo Marchesini