12 di Nikita Mikhalkov

Non vedevo da tempo un film di Nikita Mikhalkov. Ricordavo in ordine sparso Oci Ciornye e Il sole ingannatore, e ancora prima Oblomov, Partitura incompiuta per pianola meccanica e Schiava d’amore. Film forti, intensamente vitali, ispirati all’eleganza sontuosa di Visconti, all’estro di Fellini, al realismo e alla denuncia sociale di Rossellini.

Ho visto ieri sera il suo ultimo film, 12, che a me è sembrato un capolavoro assoluto. Certo, si avvale dell’impianto teatrale collaudato del remake de La parola ai giurati, film del 1957 di Sidney Lumet: ma una integrazione così compiuta tra maestria tecnico professionale, sensibilità sociale e passione politica e è cosa rara.

Se volete capire cosa è la Russia d’oggi non potete perdervi questo film. Siamo in presenza del drammatico smarrimento di un Paese rappresentato da uno sguardo non cinico ma lucido, non asettico e disincantato ma dolente e appassionato. Attraverso l’uso sapiente di un meccanismo narrativo supercollaudato – dodici giurati chiamati a giudicare un ragazzo ceceno accusato da prove e testimonianze apparentemente inoppugnabili di avere ucciso il padre adottivo russo - esce un affresco amarissimo di quella che è la Russia oggi: dilaniata dalla guerra con la Cecenia – il film è del 2007 –, ancora smarrita e nel profondo sconvolta dal crollo dell’URSS, dominata dagli spiriti animali dell’arricchimento facile, della guerra per bande, della speculazione e corruzione selvaggia. Ma attenzione, non si tratta di facile invettiva o consueto pamphlet di denuncia, ma di una dolorosa e amara assunzione di responsabilità che Mikhalkov compie, artista profondamente russo, vittima tra le vittime di un crollo collettivo. E’ anche per questo che il film prende, coinvolge, commuove: perché è autentico e vero, potentemente e intimamente autobiografico – oltreché, naturalmente, opera di cinema magnificamente girata e mirabilmente interpretata da un gruppo di attori, Mikhalkov in testa, che si passano battuta e scena con un affiatamento e una coralità magnificamente orchestrati.

12 è un oratorio civile e un requiem laico dedicato alle lacerazioni, alle miserie e alle difficoltà terribili che si trova ad attraversare e subire un grande Paese. Emblematica e straziante al proposito l’immagine finale del film: un cane nero che corre nel buio della notte stringendo tra i denti la mano di un corpo dilaniato.

Bisogna per questa testimonianza coraggiosa, civile, politica e di grande arte cinematografica rendere grazie a Nikita Mikhalkov, che si conferma uno dei grandi del cinema contemporaneo.

Gian Carlo Marchesini