Avatar 1 - Un nuovo modo di fare cinema

Giuro che non ho mai visto niente di più clamorosamente spettacolare al cinema, e proverò a spiegare il perché. Prima però devo per onestà confessare di non essere un intenditore appassionato di videogiochi, e di propendere di mio per il cinema classico rigoroso e piuttosto austero, alla Dreyer e Bergman, alla Rohmer e, buon ultimo, alla Haneke de Il nastro bianco. Devo però anche aggiungere che, sull’altra sponda del cinema spettacolare e a schermo pieno, James Cameron mi è sempre piaciuto - Titanic e Abyss in testa. Qui quel talentaccio geniale ha avuto una delle sue formidabili idee: ha messo in scena una bella, tradizionale e coinvolgente storia melò rivestendola di esotismo pandoriano e trasfigurandola grazie alle mirabilia delle tecniche e delle invenzioni proprie del linguaggio dei videogiochi e del cinema in 3d.

Direi però che qui non è uno specifico linguaggio che viene posto al servizio del racconto, ma al contrario è la storia – di rivolta e riscatto, di travolgente amore, che ha sempre funzionato – al servizio della costruzione di un favoloso, strepitoso, affascinante spettacolo tridimensionale. Con Avatar, James Cameron ha messo insieme e d’accordo le platee maschili e quelle femminili, quelle giovanili e quelle adulte e anziane, tutte unite e conquistate dalla magia di un cinema che con Avatar rinasce e trova una più che probabile nuova ed entusiasmante stagione.

Poi capisco anche il Vaticano che si incazza perché il film sarebbe portatore di una esaltazione mistico-pagana e panteista di madre natura, e i cinesi si allarmano per le capacità di penetrazione nei mercati mondiali di un così potentemente rilanciato cinema holliwoodiano. A noi, intanto, le 2 ore e 40 sono volate come stare su un seggiolino di una magica giostra, beatamente immersi in uno scoppiettare spumeggiante di immagini e scene e figure cui abbandonarsi riuscendo pure a perdonare gli schematismi un po’ rozzi e manichei dei caratteri dei vari personaggi – i buoni così buoni, i cattivi tutti pessimi: e l’incongruenza un po’ grottesca di Sigourney Weaver che, scienziata su un pianeta dove l’ossigeno difetta, infila in bocca una sigaretta dopo l’altra…

Avatar dà dell’uomo e del mondo una rappresentazione per la quale sostanzialmente due sono le concezioni a contrapporsi. La prima sostiene che la natura e le risorse del pianeta sono a nostra illimitata e indiscriminata disposizione. Possiamo farne ciò che ci pare, anche sciuparle e distruggerle, se questo ci fa piacere. L’altra propende invece per un impianto a base laicamente sacrale e religiosa: tutto è legato e connesso, tutto è utile e prezioso, tutto merita rispetto e va conservato, tutto ha un senso, niente va sprecato e distrutto. I regni – minerale, vegetale, animale e umano – sono un insieme guidato da leggi di grande saggezza ed equilibrio che non possono essere impunemente violate: materiale e immateriale, vivente e vissuto, presente e passato, memoria e storia dell’uomo e del creato vanno conosciuti e riconosciuti, assunti e trasmessi, rispettati. Noi, di questo insieme tutto, siamo parte integrante, esiste un ordine e una tendenziale armonia di cui dobbiamo essere consapevoli e responsabili, che dobbiamo conservare e accrescere, condividere e difendere, fruire e poi migliorato trasmettere. Bè, anche per la concezione proposta e trasmessa dalla storia raccontata, pur se non così originale, Avatar non è affatto male. Ma, ripeto, è la visionarietà, oltreché la positività poetica del messaggio, a coinvolgere, travolgere e in certi passaggi rapire. Io sono uscito dalla sala con dentro attivata una energia e una allegria bambina. Il che di questi tempi, da un film, un paio di occhialetti colorati e 10 euro, non è poco.



Avatar 2 - Intorno ai Na’vi, o Nativi

Sento il bisogno, tanto Avatar a me è sembrato film interessante e vitale, di aggiungere qualche altra annotazione. Sul popolo di Pandora dei Na’vi, ad esempio, che a me piace immaginare sia una contrazione di Nativi, e che ho trovato magnificamente immaginati, costruiti e raffigurati (non chiedetemi attraverso quali alambicchi e procedimenti tecnici: mio figlio me lo ha perfettamente spiegato, ma io sono, alla comprensione di tali portentose novità, irrimediabilmente refrattario). Dicevo dei Na’vi, alti e slanciati marcantoni color blu, curioso ibrido tra umani in splendida forma e possenti giaguari, agili e superatletici, dolcissimi e alla bisogna furenti guerrieri. Chi li ha immaginati e costruiti ha pensato bene di mettere insieme il massimo e il meglio dell’umanità con il massimo e il meglio di una animalità in grande armonia con la natura. Insomma, quello che nel sogno dei desideri noi terrestri, tendenzialmente sempre più smidollati e larvali, sedentari e obesi, vorremmo essere, e che loro incarnano così bene. (Oh, la loro meravigliosa e commovente danza seduti fianco a fianco a migliaia intorno all’albero sacro degli avi, estatici e fluttuanti nel coro dei canti: ma non è la raffigurazione plastica e poetica del vagheggiato universale e paradisiaco corpo mistico? E l’idea della possibilità di un passaggio e trasmigrazione dell’essenza/anima da una persona all’altra, non ha a che fare con la fede/credenza nella reincarnazione, comunque in una incessante e infinita continuità della vita?) Ancora: pensate ai protagonisti che nel film rappresentano noi (poveri) umani bianchi. Innanzitutto i bravi e buoni, il marine reduce dalla battaglia e costretto semiparalitico in carrozzella, e la scienziata curiosa, attenta e rispettosa del mondo dei Na’vi, e però fumatrice accanita. E i bianchi ipercattivi: il capo spedizione piccoletto, arrogante e strafottente, tutto dedito a conseguire a qualsiasi costo gli obiettivi della missione su Pandora, e il colonnello che della spedizione è capo militare, ipermuscoloso, ipervirile, iperarmato, iperdeciso (guerra al terrorismo!), iperpatriottico, iperfanfarone e iperglorioso… Come si capisce che Cameron e i suoi non ne possono più di questi iper rappresentanti della più forte e potente nazione del mondo..! (E però, e però: è pur vero che il film è frutto e prodotto dell’industria cinematografica di quel Paese, di quella civiltà e cultura, capace di criticarsi e negarsi, e prendersi per il culo, e che anche in tale ruolo ha travolgente successo. Ragazzi, un bel paradosso e rompicapo…). A me viene da pensare che la ricerca vera della spedizione su Pandora non abbia nulla a che fare con un particolare, raro e preziosissimo minerale: ma adombri la ricerca di un cambio di marcia, di qualità, di senso ed esistenziale prospettiva incarnato e realizzato dal popolo del Na’vi. Che sono quello che noi vorremmo, che ci manca e che non siamo più. Gran bel film, Avatar: contenitore riuscito di quanto di importante e buono merita, in un cinematografico pirotecnico promemoria, di essere oggi all’umanità ricordato.

(A proposito e in finale: mi sono all’inizio seduto nella mia poltroncina in sala che dietro di me c’era una coppia di fidanzatini che si baciava. Dopo due ore e 40, a luci riaccese, era sempre lì dietro a me che continuava. Avranno mai durante il film respirato? Che fossero due mirabolanti e onnipotenti rappresentanti del popolo dei Na’vi?)



Avatar 3 - Io ti vedo

Gli abitanti del pianeta di Pandora, i Na’vi, hanno un modo singolare e curioso di salutarsi. Guardandosi reciprocamente con intensa attenzione, si dicono: io ti vedo. Ora, per un verso verrebbe da commentare: bella forza! Per l’altro invece ci si rende conto di un messaggio interessante che dice: riconosco alla tua presenza una forza positiva che colma la mia attenzione, attraverso gli occhi tu mi entri dentro, riempi il mio cuore della tua graditissima presenza. Essendo questa l’era dello sguardo e del predominio dell’immagine, l’essere visti e visibili non è, paradossalmente, così facile e scontato, quanto invece un grande onore e un riconoscimento. Ci si può percepire anche attraverso l’olfatto, ascoltare attraverso l’udito, assaporare grazie alle labbra e alla lingua, toccare e accarezzare con le mani e le dita. E invece, in Avatar, il popolo del pianeta Pandora si riconosce e apprezza principalmente attraverso lo sguardo diretto, e con un saluto esplicito: io ti vedo!

Vi è poi tra di loro un secondo modo importante di relazionarsi, questo ancora più singolare e significativo. Dotati di una lunghissima e prensile coda, elemento del corpo che più vistosamente li accomuna ai felini, tale appendice del fondo schiena è dotata di un ciuffo di filamenti terminali sensibilissimi, che connettendosi e reciprocamente intrecciandosi genera uno stato di empatica ed estatica sintonia. Ciò che il film non mostra, ma in evidenza suggerisce, è che l’innesto e viluppo fremente di tali filamenti sia anche modalità specifica di cui i Na’vi dispongono per congiungersi e raggiungere l’acme del piacere. E tale modalità di innesto corporeo grazie ai filamenti terminali della coda è anche il modo che i Na’vi hanno per connettersi fisicamente, guidare e spronare creature simili a enormi cavalli che cavalcano e a enormi uccelli di cui si servono per gli spostamenti rapidi via terra e nell’aria.

La fantasia di James Cameron e dei suoi collaboratori ha dotato le creature di Pandora, oltre che di occhi gradevolmente enormi – io ti vedo! –, di una coda/cavo utilizzata per innestarsi e connettersi tra loro e con altre creature del regno animale per trasferire ordini, impulsi, energia, piacere. Attraverso lo sguardo e l’elettricità prodotta dai filamenti terminali della coda i Na’vi si connettono e sintonizzano, comunicano ed effondono e godono con effetti e risultati, per quel che nel film è dato di vedere, niente male. Il corpo degli abitanti del pianeta Pandora, inventato e proposto dal film, esalta la lunghezza e agilità felina di gambe e braccia, enfatizza occhi e coda, mentre riduce e stilizza le altre parti del corpo. E’ l’intreccio tra umano e animalescamente felino che domina, nell’esaltazione sinergica delle relative e specifiche qualità migliori. E poi i pandoriani hanno con equini e volatili superpotenti un rapporto privilegiato di fruizione e famigliarità, sempre grazie alla connessione dei filamenti apicali.

I Na’vi parlano e gridano, cantano e piangono, gioiscono e si arrabbiano, rispettano e amano i propri simili e tutte le altre specie viventi di qualsiasi ordine e regno. Nel film non si capisce bene come si nutrano, e infatti si direbbero apparentemente privi di un apparato digerente. E anche gli organi genitali non sono evidenti, e si direbbero sostituiti dai filamenti ipersensibili della lunga coda. Per cui non è chiaro come si riproducano. Le superdotate creature blu del film per alcuni aspetti sembrano antiche e quasi arcaiche, nello stesso tempo e per altri versi provenienti dal futuro. Eppure, per quanto da noi diverse, alla fine ti rimangono dentro famigliari come parenti che credevi di non avere, ma invece scopri affini e intimi. Ecco, i Na’vi di Pandora sono i tuoi cugini di sempre, metà angeli e metà potentissimi volatili e agilissimi felini. Grazie a loro ti senti solleticato e vivificato un sentimento di appartenenza con il passato remoto e con un futuro possibile, e anche dopo ore e giorni dalla visione del film te li senti dentro presenti e assonanti in modo perfino inquietante: l’immagine finale di quegli occhi maestosi e liquidi che si spalancano a conferma che il passaggio tra terrestre e pandoriano è avvenuto, conferma che la trasmigrazione è avvenuta anche nei tuoi stessi confronti, la creatura poetica e cinematograficamente splendida è entrata anche in te.

Insomma, e in conclusione, siamo tutti Avatar di qualcun altro che ci ha preceduto, ci trasmettiamo e trasmetteremo in qualcuno che a noi seguirà e ci continuerà. Io credo che Avatar si possa definire un’opera messaggio che esalta l’unione panica di tutto il creato attraverso la presenza attiva di un tessuto connettivo universale che ha natura e sostanza di materiale e immateriale corpo mistico. Sarà una bellissima e consolante favola, ma intanto ha indotto preoccupazioni in Vaticano: forse perché lì dentro c’è seducente una mitopoietica ecologica laica che spodesta e fa sentire antiquata quella cristiana, e può quindi farle una temibile concorrenza?



Avatar 4 - O della necessità di saper raccontare una storia

Per avere successo, perché la politica abbia presa sull’elettorato, un leader, per essere tale, deve per prima cosa saper raccontare una storia. Una storia coerente, comprensibile, avvincente – tanto piccola da poter entrare nella nostra mente e nel nostro cuore, tanto spaziosa da poterci consentire di intrecciare nelle sue trame le nostre esperienze, i nostri sogni, le nostre paure.”

Junot Diaz, premio Pulitzer 2009

Forse ho acciuffato il bandolo che meglio spiega una delle ragioni non secondarie del mio entusiasmo per Avatar. Quel film non è solo una toccante, intrigante e travolgente favola cinematografica, è anche un racconto morale, filosofico, politico attualissimo. Sul pianeta Pandora non si rappresenta soltanto un plot sentimentale e lirico tra un ragazzo e una ragazza che malgrado diversità fortissime si incontrano, si piacciono, superano ostacoli e difficoltà e barriere e alla fine si amano. Su Pandora, e sullo schermo grazie a James Cameron e ad Avatar, si fronteggiano due concezioni e due narrazioni potentissime ed antitetiche del senso da dare al proprio stare al mondo, e in esso alla propria vita. Oserei dire che il film mette in scena due versioni valoriali, ideologiche, antropologiche dello stare al mondo e del tipo di politica da fare per migliorare la propria vita che non sono per nulla di pura evasione cinematografica. Lì dentro, per quanto riguarda ad esempio gli USA, c’è lo scontro tra Obama e Bush, nel senso che rispetto al Bush imperialista colonizzatore Obama incarna il modello del popolo Na’vi, del diverso perturbante perché portatore di una istanza, un messaggio, una visione e una concezione del vivere associato, e della assunzione delle responsabilità che questo comporta, di natura sostanzialmente opposta e alternativa al primo.

Ricordate le grandi contraddizioni che ci hanno accompagnato in questi decenni recenti con il loro carico di polemiche, conseguenze ed effetti? La prima, tra padrone oppressore e proletario sfruttato; poi quella tra il maschio patriarca proprietario della Storia e la donna sua presunta appendice funzionale e sottomessa; infine, la terza, tra genere umano sfruttatore irresponsabile e natura aggiogata e progressivamente distrutta. Bene, in Avatar, è questa ultima a campeggiare centrale e decisiva. Lì – e qui – si deve decidere se è l’essere umano del creato re onnipotente e capriccioso con i suoi infiniti e inesauribili desideri a dominare una natura ancella e illimitatamente sfruttata, al punto da porre in pericolo la stessa sopravvivenza del pianeta, o se deve essere perseguito e varato un nuovo patto responsabile e sensato.

Ma qui da noi in Italia chi se non Vendola – e chi lo apprezza, sostiene e ammira - rappresenta questa seconda istanza, e chi se non Berlusconi e il berlusconismo incarnano invece esplicitamente la prima? Pensate alla attuale muscolare politica governativa delle grandi opere, o l’altra dei continui condoni edilizi e fiscali, o l’esaltazione del nucleare, o della incentivazione irresponsabile delle produzioni Ogm, o la stessa stagione prolungata di caccia indiscriminata – o infine l’ultima, su un terreno ancora più immorale e irresponsabile, dell’esaltazione del sessismo o della sistematica trasgressione e delegittimazione di regole, leggi e norme. Rispetto a tale modo di intendere il mondo e la politica, Vendola è effettivamente il più degno rappresentante del popolo del Na’vi, lo è perfino come modalità di espressione corporea e del linguaggio, prima ancora che nei programmi politici espliciti. E’ comunista convinto senza mai essere stato filosovietico, è credente autentico eppur lontano da qualsiasi subalternità e piaggeria nei confronti della Chiesa e del Vaticano. E’ diverso perfino – pudico e sobrio, privo di orgoglio esibito - nelle sue personali scelte sessuali. Vendola incarna ed esprime una integrazione pacificata tra maschile e femminile, tra istanze sociali e attese generazionali, tra impronta umana e rispetto ecologico dell’habitat naturale, da apparire rispetto all’arroganza e strafottenza manipolativa di Berlusconi e dei suoi seguaci un esponente del popolo Na’vi di Pandora.

Come sa chi ha già visto il film, l’esito della battaglia tra le due opposte schiere è violentissimo e cruento. I bianchi invasori vengono sconfitti, in parte uccisi, in parte rispediti sul loro pianeta. Ma anche i Na’vi subiscono perdite pesanti, e lo stesso giovane protagonista terrestre che accetta di aprirsi ai loro valori, al punto da trasmigrare in uno di loro pur di restare loro accanto, dovrà pagare rinunciando alla sua forma corporea originaria. Insomma, ci dice il film, la natura dello scontro tra colonizzatori imperialisti e popolo dei Na’vi è radicale. Ma perché, quello tra chi si riconosce nel modello Berlusconi e chi si riconosce in quello incarnato da Vendola lo è di meno? In realtà, siamo alla resa dei conti del conflitto tra le tre contraddizioni sopra citate che reclamano, per la nostra stessa sopravvivenza, di essere positivamente superate. Niente più licenza di sfruttare e opprimere, niente più capricci deliranti e pratiche devastanti, niente più manipolazioni, imposture e imbrogli, protesi e droghe, innesti artificiosi, coloranti e additivi. Quello che c’è, e ce n’è a sufficienza per tutti, va equamente diviso. L’obesità va eliminata attraverso una ben temperata sobrietà. Si restituisce dignità a misura alla condizione umana rinunciando a ogni egolatria malsana.

Avatar ci dice che non bisogna avere paura delle trasformazioni, e che in presenza di un pericolo grave è il caso di giocarcele fino in fondo tutte, persino quella di trasferirci integralmente – aprendoci, immedesimandoci, identificandoci - in un essere, in una entità diversi. Ma d’altra parte, dal seme e dall’uovo al feto e al neonato, all’ essere umano formato e compiuto, dal bambino al giovane all’adulto e al vecchio decrepito, quante non sono nella vita le trasformazioni fisiche e mentali, morali e intellettuali, ideologiche e culturali che noi attraversiamo? Quante conversioni di rotta e di mentalità affrontiamo? Oggi poi, dovendo fare i conti con la rapidità tumultuosa di tante innovazioni e trasformazioni…

Avatar è ricco di narrazione coinvolgente e trascinante, come ne sono qui da noi capaci, in parallelo e antagonisti, Berlusconi e Vendola. Anche Di Pietro e l’Italia dei Valori ha una sua narrazione, troppo però debitoria verso una specularità opposta e quindi troppo dipendente da quella dell’attuale premier. E il Pd? Il Pd né ha (ancora) una propria narrazione autonoma, persuasiva e coinvolgente, né sa contrapporsi risolutamente a quella dell’avversario antagonista. Il Pd è come avesse, per ora e suo malgrado, delegato Di Pietro, Vendola, Casini e la Bonino a rappresentarlo nel confronto e nello scontro politico, ciascuno nel suo proprio limitato e specifico. Il Pd, ahimé e purtroppo, è oggi il grande infermo: ancora gravato dalla zavorra del cinismo e disincanto, spesso opaco nelle sue pratiche, ritirato e nascosto nelle segrete stanze, titubante, tentennante, confuso, sospeso. E’ come un grande albero abitato da fazioni vocianti, litigiose, autoreferenziali. Che arrivi presto nel nostro campo chi sappia condurre a unità e sintesi le varie forze/debolezze, chi si mostri capace di una narrazione (obamiana/vendoliana) necessaria per rianimare, suscitare entusiasmo, far ritornare fiducia, energia, speranza. Perché il passaggio cruciale dello scontro, che è già in atto, si avvicina. E se non ci arriviamo preparati, sono – scusate il francesismo - cazzi amari e disastri.

Gian Carlo Marchesini

6