Eroi del nostro tempo
Vi ricordate l’attentato fallito sugli scogli dell’Addaura davanti alla villa sul mare dove erano ospiti in vacanza il giudice Falcone e la sua collega svizzera Carla Del Ponte? Ci fu allora, e anche in seguito, chi si diede da fare per promuovere la versione per la quale l’attentato era stato organizzato dallo stesso Falcone per trasformarsi in martire agli occhi dell’opinione pubblica. Oggi, a distanza di tanto tempo, arrivano testimonianze e riscontri di una matrice dell’attentato del tutto e soltanto mafiosa. D’altra parte, tenendo per buona la chiave di lettura dei detrattori di Falcone, lo stesso si sarebbe poi pervicacemente fatto saltare in aria in proprio sul tratto di Capaci dell’autostrada tra Punta Raisi e Palermo…
Le stesse centrali della disinformazione si erano date da fare anni prima, per cavalcare l’uscita di Leonardo Sciascia sui magistrati che facevano carriera con la lotta alla mafia, per denigrare il giudice Paolo Borsellino: che a furia di far carriera con l’antimafia è finito in mille brandelli sotto la casa di sua madre inferma.
Gli ambienti e le scuole di disinformazione e denigrazione – Il Foglio di Giuliano Ferrara con suggeritore il giornalista e senatore del PdL Lino Iannuzzi, ma un po’ anche Il Riformista di Antonio Polito, sicuramente e alla grande Libero e Il Giornale – producono e diffondono gli umori pseudo libertari e finto garantisti, in realtà faziosi perché del tutto strumentali e interessati, contro chiunque, i magistrati innanzitutto, pretenda di applicare la legge equamente e imparzialmente, a prescindere da ricchezza e ruolo pubblico, ceto e censo: definendo chi eccepisce e si oppone manettaro e giustizialista, quando invece si tratta di un sostenitore del principio per il quale la legge va applicata con eguali obblighi e garanzie nei confronti di tutti.
Queste considerazioni mi venivano alla mente alla presentazione del libro Il caso Genchi, di Edoardo Montolli, edito da Aliberti (983 pagine, 19 euro), presentato da Marco Travaglio e Antonio Di Pietro in una sala dell’Hotel Nazionale di Piazza Montecitorio. Cento posti a sedere, duecento partecipanti a pigiarsi tra stormi di fotografi e cineoperatori assatanati, nessun carabiniere o poliziotto o addetto alla sicurezza Fininvest presente, che se uno squilibrato alla Tartaglia avesse voluto…
Genchi, Travaglio, Di Pietro – e De Magistris, e Caselli, e Saviano e tanti altri ancora – sono persone oneste e serie diventate personaggi emblematici per l’impegno e la battaglia che vanno conducendo da anni rischiando oggi la pelle così come l’hanno rischiata e, ahimé, definitivamente perduta, Falcone e Borsellino. Non si tratta di persone politicamente e ideologicamente connotate, non sono vetero o neo marxisti, vecchi o nuovi comunisti e socialisti, in larga parte non appartengono a nessuna parrocchia politica di destra o sinistra. Sono semplicemente fedeli e ferventi sostenitori della Costituzione repubblicana, di un suo principio in particolare, quello per il quale tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Questo non va di traverso solo a Berlusconi, dà paradossalmente fastidio anche a molti saccenti rivoluzionari: perché, sapete, se accettassimo di rispettare le leggi, che rivoluzionari saremmo? Ecco perché si è realizzata una neanche tanto sotterranea empatia tra l’imprenditore corsaro spregiudicato e trasgressivo, e chi sotto sotto condivide che per affermarsi e arricchirsi qualche legge bisogna pure trasgredirla, e ancora, molti ex o attualmente di ultrasinistra, accomunati dal rifiuto di una moralità e legalità piccolo borghese, tutti uniti dall’insofferenza e dal disprezzo per dei giudici così scemi da farsi ammazzare pur di difendere la legge borghese.
Per chi si è inebriato alle gesta di Mao e Che Guevara, come non sentirsi sprecato a schierarsi con De Magistris e Di Pietro – e con i Falcone e Borsellino... Avendo tutto sommato giudicato avversi o estranei Togliatti e De Gasperi, non essendo riusciti nell’impresa di impiantare in Italia la dittatura brigatista del proletariato, costoro oggi oscillano equamente divisi tra il tifo per le moltitudini migranti astrattamente rivoluzionarie, e il prestare qualche servizio ben retribuito alla corte dell’imprenditore corsaro ricco come un Creso. Quando invece la rivoluzione vera si fa oggi in Italia non certo abbassando la guardia e inciuciando alla grande, come tende a reiterare con una sorta di coazione ossessiva qualcuno, o con fughe in avanti del tutto deliranti e improduttive, ma, ad esempio, attuando per esteso e intero i principi della Costituzione, debellando l’intreccio nefasto tra malavita organizzata, politica degenerata e affarismo stragista, lebbra in estensione oggi in Italia. I veri eroi del nostro tempo sono i 27 magistrati uccisi nel tentativo di fare onestamente il loro lavoro, i pacati e civili eroi borghesi alla Ambrosoli. Il resto, alla luce della durissima nostrana realtà odierna, è anacronistico e obsoleto ciarpame ideologico.
E non si capisce perché in carcere, pestati e massacrati a volte fino alla morte, ci debbano andare i piccoli spacciatori, i tossicodipendenti e gli extracomunitari clandestini, e non i miliardari evasori fiscali incalliti, i palazzinari corruttori che violentano il territorio, gli industrialotti brianzoli o pugliesi idioti che inquinano e sfruttano sottopagando in nero. E la vera rivoluzione in Italia si farà quando al governo ci saranno, grazie ai loro comportamenti limpidi e coerenti, le forze politiche che mostreranno di saper ridurre le diseguaglianze economiche, non aumentarle, a far pagare meno tasse a tutti facendole però a tutti pagare, utilizzando il ricavato per migliorare ed estendere i servizi sociali – la scuola e la sanità specialmente – a chi ne ha più bisogno, non a quelle private dei già super attrezzati benestanti. E voi non pensate che dal posto dove oggi si trovano anche Mao e il Che sottoscriverebbero?
Non sono curiosi, e pessimi, i tempi in cui la semplice richiesta di uguaglianza davanti alla legge viene derisa sia da chi, prepotente e impunito, vuole continuare a farsi gli interessi propri, e da chi, ultrarivoluzionario, considera tale fondamentale esigenza politicamente arretrata e perdente?
Questi sono oggi gli uomini più odiati e temuti dall’entourage di Berlusconi, perché sono gli uomini che sanno e non tacciono, che non si fanno sedurre né comprare. Sono uomini che credono e si riconoscono in quello che fanno, e malgrado il pericolo gravissimo che la loro vita corre, non smetterebbero per nessuno ragione di farlo. Uniscono a serietà, responsabilità e competenza soprattutto un senso dei valori morali e di un dovere considerato sacro che ai berluscones venduti, manipolabili e servi risulta intollerabile.
Alla presentazione del libro su Gioacchino Genchi era presente, vibrante e attentissimo, un gruppo di ragazze e ragazzi ognuno con un’agenda rossa in mano, come quella scomparsa di Paolo Borsellino, mostrata con orgoglio come un nuovo moderno e laico vangelo. Genchi, Travaglio, De Magistris, Di Pietro, Caselli, Saviano, per molti versi uomini ordinari, con tutte le riserve per i loro umanissimi e specifici limiti, sono i legittimi eroi dei nostri tempi proprio perché espressione di una specie che non molla, non cede, non si adegua e uniforma alla legge del più ricco e potente. Dice: ma se non ci fosse Berlusconi non sarebbero nessuno! L’impressione che si ha è che loro sarebbero felici di un tranquillo anonimato, lo riterrebbero un premio, perché significherebbe che non vi è più alcuna emergenza da affrontare, quella che loro interpretano e affrontano, giustamente, come una vera e propria emergenza di salute pubblica. Come si può per questo non essere loro profondamente grati?
Gian Carlo Marchesini