Il mio amico Eric
Strano film, l’ultimo di Ken Loach.
Il protagonista è un uomo tra i più conigli sfigati, sgradevoli e antipatici messi in scena recentemente al cinema. Rachitico e brutto, doppiato con un voce chioccia e fessa, sigaretta perennemente in bocca alternata a canne su canne di marijuana furtivamente sottratta alla scorta dei due figli maschi adolescenti, il nostro ha piantato in asso vent’anni prima, non appena diventata mamma di una bambina, la ragazza di cui era innamorato cotto. Viene poi piantato a sua volta in asso dalla seconda moglie che, per la legge del contrappasso, gli molla due figli pestiferi avuti da un matrimonio precedente, fannulloni e lavativi che di più non si può: della serie, dormire fino a tardi fregandosene della scuola, trovare la pappa pronta, film porno con gli amici a tutte le ore, furtarelli per procurarsi la marijuana. Il paradiso in terra sulle spalle e sulla pelle di qualcun altro.
Il nostro uomo di mestiere fa il portalettere, ma è così debilitato dallo stress, e angosciato dai rimorsi, dalla solitudine e dai guai famigliari – e dalle continue birre, e sigarette e canne – che lo fa a spizzichi e bocconi, accumulando negli armadi di casa pacchi e lettere non consegnate. Ecco, un tipo così non poteva che arrivare al punto da cui il film inizia, e cioè un incidente di macchina risultato evidente di depressione, infelicità, ubriachezza cronica.
Il film poteva anche finire proprio lì dove inizia: per un uomo ridotto a quel punto non si direbbe esserci salvezza. Invece il misericordioso Ken Loach si inventa un deus ex machina risolutore attraverso la passione per il calcio, la propria squadra, il Manchester United, Eric Cantona, l’attaccante idolo dell’intera città. Il quale appare in carne e ossa al protagonista e assume le vesti di coach e psicoterapeuta, e si fuma con lui amichevolmente una canna, e lo assiste, aiuta, stimola e rimbrotta avviandolo alla soluzione di tutti i suoi pesantissimi problemi. Il nostro riacquisterà infatti passo a passo fiducia in se stesso, si rimetterà fisicamente e moralmente in sesto – senza però rinunciare all’eterna sigaretta e canna in bocca, il che suona abbastanza inverosimile. Riconquisterà la stima della sua ragazza piantata trent’anni anni prima in asso, al punto da rimettersi nel lieto fine insieme. Imparerà a dire di no e a imporsi ai figli tirandone uno fuori da un terribile guaio in cui si era cacciato.
Insomma, grazie a Eric Cantona, nella storia in partenza tanto disgraziata del nostro tipo i miracoli si susseguono a raffica. Datemi una leva e vi solleverò il mondo – diceva quello. Da noi, l’equivalente cui oramai il popolo si affida sono Berlusconi, padre Pio e il Lotto. In Inghilterra, Ken Loach, regista e intellettuale da sempre schiettamente di sinistra, è arrivato a escogitare, pur si salvare dai guai i suoi eroi proletari, il tifo calcistico e un suo osannato campione. Ora, anch’io sono appassionato di calcio e ho la mia squadra del cuore, e in più condivido tutto ciò che Pasolini scriveva dell’importanza del calcio a livello esistenziale, antropologico, poetico e filosofico. Ma un suo uso così miracolistico e salvifico non avrei mai avuto l’ardire di ipotizzarlo. Ken Loach lo fa, e io non so se ammirarlo per la bella fiducia e l’ottimismo che mostra, o compatirlo per la disperazione cui bisogna essere arrivati anche soltanto per averlo immaginato.
Una componente del film che invece mi persuade di più è quella dell’amicizia e della solidarietà tra colleghi e compagni di lavoro, che effettivamente, almeno in teoria ma per fortuna non del tutto infondatamente, può agire e funzionare nelle peggiori situazioni da leva positiva. Gli attori che interpretano il gruppo degli amici soccorritori sono fisiognomicamente uno peggio dell’altro, ma sono bravi nella loro parte di compagnoni solidali e credibili. Il film è impastato della sostanza più problematica cui può approdare oggi certa realtà famigliare e sociale: Ken Loach si conferma regista capace di trasformare il peggio e farlo lievitare sulle ali di una non ortodossa favola di Natale. Solo che qui dà l’impressione di essere arrivato a raschiare il fondo del barile. Cosa si inventerà nel prossimo film per redimere i suoi tartassati eroi?
Gian Carlo Marchesini