Umori, percezioni, punti di vista.
Dialoghetto con un giovane romano taxista.
Spesso i taxisti sono portatori di un punto di vista in qualche modo socialmente emblematico e rappresentativo. Prendiamo ad esempio quello che mi ha portato a Piazza del Parlamento, l’altro giorno, per la presentazione all’Hotel Nazionale del libro su Gioacchino Genchi. Devo però prima fare una premessa. Evidentemente io inalbero una faccia a caratura espressiva tipica di una socio disponibilità molto pronunciata, perché quasi regolarmente succede che l’autista del taxi che prendo, dopo qualche battuta d’assaggio sul più e sul meno, capìto che sono un ascoltatore disponibile parte in quarta per aprirsi e raccontarmi di tutto come si fa tra vecchi amici.
L’autista del taxi dell’altro ieri mi ha in venti minuti di percorso tenuto una sintetica ma sostanziosa lezione politica, dal suo punto di vista, sul momento che questo Paese sta vivendo. L’incipit del nostro scambio riguardava lo stato del traffico, a Roma sempre più difficoltoso, e la strada migliore per giungere senza esagerati intoppi a destinazione. Io ho osservato che era giocoforza tenere anche conto delle eventuali manifestazioni in corso, perché esse condizionavano sempre più la circolazione in intere aree del centro storico. E a quel punto il taxista ha approfittato per dire la sua.
“Vede, caro signore – ha iniziato a dire il mio conducente – le manifestazioni, oltre a paralizzare sempre più la circolazione nel centro, oramai non hanno più efficacia alcuna, perché chi manifesta non ottiene nessun risultato. Fino a qualche tempo fa si poteva pensare che esse pesassero in qualche modo sulle decisioni di un ministro o del governo, perché colpivano e interagivano con la pressione dei media e dell’opinione pubblica. Ora è evidente che non influiscono per nulla. Sono diventate un rituale, un teatrino, un puro e semplice sfogo. Niente si muove, niente cambia.” Io ascoltavo con interesse, trovando le osservazioni purtroppo non così infondate. Le manifestazioni a Roma sono in effetti pressoché quotidiane, e anche in me il sospetto dello sfogo umorale inutile era ben presente. “Ma che altro fare?” - mi è venuto spontaneo osservare ad alta voce. “Guardi dottò – mi ha risposto il guidatore, un giovane di civile aspetto, dall’eloquio oltre che pronto anche corretto – io mi permetto di dirle quel che penso, e se sbaglio so che lei mi perdonerà. Ma io, da questo mio osservatorio di conducente di macchina pubblica nel centro della capitale, con decine e decine di persone di tutti i tipi con cui scambio abitualmente due chiacchiere, ho concluso che quelli che comandano se oggi temono qualcosa è soltanto una aggressione alla loro incolumità fisica. Questi qui, navigati e scafati, sono così abbarbicati ai loro privilegi che certo non molleranno neanche in presenza di decine di manifestazioni al giorno, di mille come di un milione di persone. Ma cosa può mai importare a loro di gente che sta male e manifesta in piazza o sui tetti il suo malessere! Provi invece a immaginarli vittime di un agguato, con qualcuno che li assedia fisicamente e impedisce loro di uscire dai palazzi, magari gli rompe pure le auto di lusso o gambe: vedrà come si daranno da fare per impegnarsi a risolvere qualcuno dei tanti problemi!”
“Le confesso subito – si affretta a precisare il mio giovane taxista – che io non farò mai personalmente nessun gesto di violenza nei confronti di alcuno, per quanto colpevole e meritevole di subirla. Ma non perché sono un non violento, o perché porto rispetto a chi ci governa oggi, ma semplicemente perché io sono un vigliacco, la violenza non è cosa mia, io svengo anche alla semplice vista del sangue. Questa è la mia natura: ma ripeto, mi creda, questi qui non se ne andranno più per le parole e le grida e i cortei e le manifestazioni, e, se del caso, truccheranno le carte, come hanno già fatto, anche al momento delle elezioni. Questa qui è gente violenta, che purtroppo capisce soltanto quella e se ne andrà solo perché costretta da un’altra e maggiore violenza. A me la violenza non piace e angoscia. Ma almeno mi lasci la libertà di dire quella che io ritengo, per come è combinato oggi questo Paese, una semplice ed evidente verità.”
Intanto eravamo giunti a destinazione, non ho avuto il tempo di commentare – avrei voluto osservare che il tempo della violenza, delle stragi e dei delitti politici in questo Paese già c’è stato, e ha portato solo lutti e disastri. Ho quindi pagato, salutato, e sono sceso. Ho rimosso per alcune ore la confessione/sfogo dell’autista, ma poi mi è riaffiorata alla memoria quando l’autore del libro su Gioacchino Genchi nel suo intervento ha confessato che i mesi di intervista al poliziotto palermitano lo avevano portato alla persuasione amara che la condizione sociale e politica di questo Paese è arrivata a un punto tale, così degradata e marcia fradicia, che uscirne sarà possibile solo pagando tutti un prezzo molto pesante.
E a me, che sono di quanto osservo e ascolto un semplice attento cronista, tali affermazioni e questi umori sembrava giusto segnalarli.
Gian Carlo Marchesini