Elegia del sabato notte
Di tante carezze ardenti, di tanti amplessi bollenti,
sono rimasti i lombi pesanti, gli improvvisi scatti d’ira.
Anche l’amore se n’è andato in pensione,
o ha solo un po’ perso lo scatto e la mira?
Ha cambiato forma,
o ha solo lasciato qualche spenta orma?
Rimangono i tanti ricordi in comune,
i riti quotidiani e l’affettuosa reciproca sopportazione.
Alla fine arriverà la cecità e il pannolone per l’incontinenza,
ma intanto godiamoci il dio sonno e i suoi sogni
che regalano dell’immortalità il luccichio e l’apparenza.
E’tutto qui ciò che rimane dell’antica magnificenza,
del fulgore di tanti progetti, visioni, bisogni?
Hanno definitivamente smesso le navi di spingere i remi
per doppiare di Orione i bastioni?
Sono stati soltanto deliri e collettive allucinazioni?
Meno male che in Piazza del Popolo all’ora del tè
in duecentomila hanno confermato che la Sinistra c’é.
C’era il giovane arrembante popolo viola,
c’è stato il grido di dolore veemente di una precaria della scuola,
ha parlato Vendola come un carismatico leader pasoliniano,
e la Bonino che ripaga alla grande
di tutte le escort dello psiconano.
C’erano Bersani e Di Pietro che una volta tanto
non si sono pugnalati dietro,
e neppure lanciato uno sberleffo o il guanto.
C’era un certo Nencini, orfano di Craxi,
in rappresentanza di Nenni e Mancini.
C’era l’Angelo Bonelli che malgrado il prolungato digiuno
a gridare bellicoso non lo tratteneva nessuno.
E c’era il Ferrero che un po’ pignolo
lamentava di essere stato lasciato solo.
E Bersani gridava Lavoro! Lavoro! Lavoro!
che sembrava il torero che carica il toro.
C’erano perfino i Lotta Continua
seduti sui gradini di una chiesa
che sembravano vecchi bambini
tra le braccia di una mamma amorosa.
Forse tenendoci ancora tutti per mano
riusciamo a darci la forza
per toglierci dalle palle il redivivo duce.
L’orologio segna le tre: adesso spengo la luce.
E speriamo che non cedano voglia, coraggio e scorza.
Gian Carlo Marchesini