Sminatori di Kathryn Bigelow

The Hurt Locker è un film molto, molto interessante. Sette anni fa gli USA guidati da Bush decidevano di invadere l’Iraq e rovesciare con la forza il regime di Saddam Hussein. Per giustificare tale decisione sono state inventate balle e menzogne, è stata manomessa la verità. La realtà di quella scelta potrebbe anche essere formulata così: “Voi siete venuti a casa nostra, a Manhattan, a buttarci giù le nostre più alte torri con dentro migliaia di persone? E noi ci vendichiamo e vi puniamo invadendovi, buttando giù chi vi governa, fregandovi il petrolio. Perché, se è chiaro e lampante che non siete stati voi e non nascondevate nessuna arma di massa? Semplice: noi, per quello che ci è successo, dovevamo pur reagire e punire qualcuno. Voi eravate uno dei pochi Stati arabi pieni di petrolio a noi ostili. Detto fatto.” Sono passati un po’ d’anni, sono stati uccisi centomila civili iracheni e sono morti ammazzati 4.380 soldati americani, gli attentati ancora si succedono disastrosi, e ora ti arriva una regista americana – quella di Point break, con i belloni Keanu Reaves e Patrick Swayze che rapinavano banche e poi cavalcavano con le tavole da surf onde gigantesche – e ti realizza un film che è a dir poco osceno, e in più le viene assegnato l’Oscar! Ora, io non entro neanche nel merito dei pregi artistici del film – i critici più quotati si sprecano in aggettivi tipo “eccitante” e “adrenalinico” -, in questo caso a me non può fregare di meno, mi basta e avanza l’immoralità dell’operazione ideologica che lo sostiene. Insomma, i bei giovanottoni americani stanno ancora lì dopo otto anni a sparare e uccidere – pardon, a mantenere la pace e l’ordine – e cosa ti propone la regista premiata quest’anno con l’ oscar hollywoodiano? Un film “eccitante e adrenalinico” che maternamente adotta e una particolarmente sporca e indecente guerra. “Ma voi vedete: quei poveri figli sono lì per noi a patire, a sudare e soffrire. Piangono e gemono, si torcono per l’angoscia e il dolore. Eppure sono così forti e coraggiosi, così umani e belli, così nostri figli di cui dobbiamo essere orgogliosi e fieri…”. Ebbene, io trovo questa operazione semplicemente indecente. Gli iracheni, ovviamente, vengono raffigurati sporchi, laceri, insidiosi come scorpioni e schifosi come scarafaggi. I nostri soldatoni americani sono splendidamente , muscolarmente virili, eppure così teneri e sensibili! Stanno lì a reggere alta la bandiera non si capisce bene perché e per fare cosa: sono capitati in quella merda per caso? Sono lì in salvifica missione umanitaria? E perché mai gli scarafaggi iracheni sono così ottusamente cocciuti nell’infilargli sotto i piedi mine? Non sanno come passare diversamente il tempo?

Sapete come i nostri eroi trascorrono le serate in caserma, dopo avere rischiato durante il giorno la vita e ammazzato di passaggio qualche iracheno scarafaggio schifoso? Organizzano rodei di lotta in cui si sfidano a chi beve e resiste meglio nel picchiarsi reciprocamente a sangue. Di una miseria accasciante. Sarà per questo che critici intelligentoni come Roberto Silvestri giudicano su Il manifesto il film “adrenalinico ed eccitante”? E cosa c’è di più delirante e insensato che passare le serate a ubriacarsi e a picchiarsi, quando il desiderio pretenderebbe – fidanzate e mamme lontane – l’elemosina di una carezza, un caritatevole abbraccio? E’ così che è costretto a fare il povero diavolo di un autentico americano macho? Non bisognava addestrarlo e insegnargli meglio che in certe situazioni e circostanze estreme – e magari anche senza – ci sono modi non ortodossi ma più efficaci per insieme rilassarsi? Non è che la Bigelow ha completamente fatto propri i valori e i comportamenti guerrafondai e omofobici? E cosa c’è di più pornografico e osceno che indugiare con la cinecamera sul cadavere di un ragazzo iracheno predisposto come una autobomba con l’esplosivo cucito in pancia, e aprirgliela piano con una pinza per entrargli dentro con le dita, la mano e l’intero braccio, ed estrargli la sanguinolenta bomba? Cosa vuole essere, la parodia maschile del parto e di una nascita? La guerra è forse risposta al tabù di un desiderio e forma violenta di compensazione di una antica brama di un penetrazione e impossessamento dell’altro?

Questo film è una sorta di reality (horror) show, una specie di Isola (bellica) dei famosi. E gli hanno dato pure l’Oscar! Perché la regista è donna? Perché lo sguardo femminile rende il tutto più toccante e commovente? Ma non è proprio così che si umanizza e legittima perfino la guerra più bastarda, insulsa e stupida? Per favore, ridateci il grande Stanley Kubrick realmente, profondamente pacifista di Full Metal Jacket e Orizzonti di Gloria!

P.S. : ecco la frase/dedica pronunciata dalla Bigelow subito dopo la premiazione:”A tutti gli uomini e le donne che portano una uniforme in tutte le parti del mondo…”. No, cara Bigelow: a tutti gli uomini e le donne che hanno il coraggio di togliersi l’uniforme in qualsiasi parte del mondo…

Questo è un film super macho e iper patriottico girato con il tocco suadente e carezzevole di mani femminili probabilmente, anzi sicuramente abili. Insomma, una sapiente schifezza.

Intanto, qui da noi, a Vicenza, come base avanzata per poter meglio invadere qualche altro Paese in Medio Oriente o in Africa e tempestivamente schiacciare gli indigeni e riottosi scorpioni e scarafaggi, gli americani raddoppiano una già enorme base militare, distruggendo e devastando l’ambiente e le falde d’acqua… E se invece di minare e sminare il suolo altrui cominciassero a sminarsi il cuore e la testa?

P.S. 2: Ieri mi sono ben guardato dal regalare mazzi di mimose: forse la nota su questo film è il miglior modo sostitutivo che ho trovato.

Gian Carlo Marchesini