Croce – e delizia – del Sud

Chi è disposto oggi a sacrificarsi fino a morire per qualcosa in cui crede?

Sicuramente un fondamentalista musulmano, un talebano, un kamikaze palestinese, irakeno o afghano – viene subito da rispondere. Più vicino a noi, o proprio tra di noi, disposto a morire si è dimostrato qualche giudice, qualche magistrato che credeva nella necessità di eseguire fino in fondo il suo compito. Un uomo di legge e giustizia, quindi: ma anche qualche intellettuale scrittore e giornalista che riteneva irrinunciabile e indiscutibile il suo dovere di inchiesta, informazione e denuncia dalla parte della verità e a difesa dei più deboli e indifesi. In un passato non lontano anche tra i politici abbiamo avuto esempi di tenacia eroica e coerenza estrema nello svolgere il proprio compito, fino al sacrificio della propria vita. E, ancora più indietro nel tempo, i partigiani nella loro scelta di lotta antifascista e antinazista. E infine, sempre retrocedendo nel tempo, i nostri eroi e martiri del Risorgimento che per un’Italia libera, democratica e unita generosamente si batterono e morirono. Senza di loro, senza costoro, noi tutti saremmo oggi diversi, più deboli, divisi, poveri.

Costabile Carducci, chi era costui?

Uno di loro voglio oggi ricordare, Costabile Carducci, tra i più lontani nel tempo e i meno ricordati forse perché figlio di una terra bella e povera del Sud, Capaccio, nel Cilento, e perché ucciso il 4 luglio del 1848, quindi un bel po’ di anni fa, ad Acquafredda di Maratea, una terra forse povera quanto il Cilento, sicuramente altrettanto se non ancora più bella. Sento il bisogno di parlarne per delle ragioni che io ritengo attuali e valide, e che cercherò di spiegare. Ricordare Costabile Carducci è importante e giusto innanzitutto perché è stato un eroe del Risorgimento che ha dato la vita per rendere l’Italia un Paese unito e libero da tirannie oscurantiste. Poi, perché c’è oggi chi vorrebbe tornare a un Paese disgregato e diviso tra Nord e Sud, primi e ultimi, ricchi e poveri, privilegiati ed esclusi. Infine, perché anche allora a uccidere Costabile Carducci non è stato solo uno Stato assolutista e dispotico con il suo esercito oppressore, ma anche l’ignoranza e la ferocia di un localismo reazionario e cieco.

Definire oggi una identità: questione mica semplice…

Ma prima di procedere con il ragionamento, credo necessario compiere un passo a lato, e capire che per definire oggi una identità morale, sociale, politica e culturale bisogna innanzitutto conoscere e sapere abbastanza per decidere da che parte stare. Francesco Saverio Nitti, ad esempio e per restare in Basilicata, era un lucano di Melfi meridionalista e europeista, che per non piegarsi al fascismo si è fatto vent’anni di esilio in Francia e due di campo di concentramento nazista in Tirolo. E Costabile Carducci era un cilentano di Capaccio che per contribuire alla edificazione di una Italia libera, democratica e unita, ha dato la vita. Così come, con lui, Carlo Pisacane e centinaia di altri patrioti che nel Sud hanno contribuito al Risorgimento nazionale – e con loro, quasi cent’anni dopo, i partigiani antifascisti e antinazisti in tutta Italia. Ma oggi c’è la Lega Nord che, in nome della bottega, e della Padania libera, vuole scaricare il Sud del Paese.

Identità: conflitti e spaccature in seno al popolo

Il punto in qualche misura dolente e critico della vicenda è che Costabile Carducci, costretto dal mare agitato a sbarcare sulla spiaggia di Acquafredda, fu allora assalito, preso a fucilate e ferito, e poi fatto prigioniero e nottetempo ammazzato, da alcuni abitanti del luogo capitanati da don Vincenzo Peluso, prete di Sapri che, devoto amico del Borbone, gli aveva giurato eterno odio. Il Carducci era accompagnato da alcuni suoi compagni commilitoni, tra cui Raffaele Ginnari, di Maratea, ucciso a Cersuta dai compari del Peluso. Insomma, patriottismo risorgimentale e oscurantismo reazionario convivevano e spaccavano le stesse comunità del Sud. Tanto è vero che, insieme ai manigoldi che lo trucidarono, ci fu anche una donna del luogo misericordiosa che prima lo medicò, la pastorella che ne ritrovò il cadavere ai piedi del dirupo, il prete, don Daniele Faraco, che gli diede misericordiosa sepoltura nella cripta della chiesa. E infine, oltre sessant’anni dopo, un maestro elementare del paese che tentò ripetutamente di far apporre all’esterno della chiesa una lapide a ricordo, riuscendovi a fatica e dopo resistenze e opposizioni di altri compaesani. E a noi piace ricordare qui che fu nel 1920 che, all’interno della Villa appena edificata, quel maestro Francesco Raeli ebbe l’onore e il piacere di commemorare Costabile Carducci davanti ai suo compaesani riuniti, ricevendo pubblico e commosso elogio dallo stesso Francesco Saverio Nitti.

Oggi quella divisione e spaccatura, in forme attenuate ma insidiose, serpeggia e si ripropone. E siccome l’Unità d’Italia fu attuata in alcune regioni del Sud con una repressione piemontese ferocemente violenta, e con una appropriazione di risorse economico-finanziarie verosimilmente iniqua – tanto che i briganti che si opposero sono ancora considerati da non pochi, a torto o a ragione, molto più ribelli libertari che non banditi malavitosi -, ecco che qualcuno anche al Sud ritiene il modello leghista, dell’autonomia spinta sino alla separazione, esempio da seguire e replicare. Insomma, un specie di tentazione regressiva allo Stato pre unitario.

L’identità in gioco passa quindi attraverso una scelta consapevole tra una forma dello Stato nazionale in cui l’accento cada fermamente sull’unità, oppure su una qualche sciagurata separazione tra le sue parti. In ogni caso, ciò che di suo il Sud deve conferire è una posizione di rifiuto netto delle eterne attese di assistenza da parte del governo centrale, e di rigetto di qualsiasi convivenza complice e passiva con le sempre più infestanti e pervasive attività della malavita organizzata. Il che, al punto cui siamo purtroppo arrivati, come impegno e compito non è impresa affatto secondaria. Bisogna infatti decidere da che parte stare: raccogliere l’eredità del pensiero di Nitti, dell’azione e del sangue di Costabile Carducci e Carlo Pisacane, o subire l’iniziativa da una parte dei diktat dei leghisti, dall’altra della malavita organizzata. Ma ad una scelta unitaria, nazionale ed europeista bisogna conferire, perché persuasivamente regga, coraggio, lucidità e intelligenza, dimostrare di saper partecipare responsabilmente a contribuire positivamente. L’inerzia, la dipendenza, la passività subalterna, crocifiggono a un destino segnato, a una deriva misera e serva. I territori e le comunità del Sud sono oggi chiamate a un doppio impegno: mantenersi saldamente radicate alla parte migliore delle loro origini e radici, alla memoria delle importanti e belle vicende della propria storia, rivendicandole senza assolutizzarle, e allo stesso tempo rendersi disponibili a interloquire e interagire con i flussi di informazione, innovazione, persone e risorse che arrivano sempre più frequenti grazie ai processi di globalizzazione. E nello stesso tempo non chiudersi, non barricarsi, non scimmiottare maldestramente il modello leghista. Insomma, non farsi colonizzare, inglobare o spazzare via.

Ecco chi era Costabile Carducci!

Costabile Carducci era originario di Capaccio, del Cilento, aveva 44 anni, era sposato e padre di due figlie piccole. Era di famiglia benestante, poteva anche dedicarsi tranquillamente alla gestione e godimento delle sue cose famigliari. Ha fatto in modo radicale altre scelte, organizzava e addestrava le forze armate di liberazione a combattere per un Risorgimento morale e civile. Ha lottato fino al sacrificio della sua vita per un Italia libera, democratica, unita. Francesco Saverio Nitti era originario di Melfi, sua madre era una contadina analfabeta, si è formato a Potenza e a Napoli, era uno statista maiuscolo, un meridionalista ardente, un europeista convinto, un antifascista intransigente. Questi sono esempi e modelli, figure cui ispirarsi. Vite a noi vicine e recenti, ispirate da principi e valori incarnati in modo degno e coerente. Campioni di un afflato religioso civile e laico indispensabile alla costruzione di una società aperta, colta, più equa e democratica. Che la Lega e Berlusconi a confronto sono bottega gretta e sbobba nauseabonda.

Gian Carlo Marchesini

P.S. 1 Poi l’altro giorno mi è capitato tra le mani un libro intitolato “San Biagio a Maratea”, un compendio di notizie storico-religiose su quel venerato patrono, a cura del compianto José Cernicchiaro e di Tina Polisciano - con ben tre prefazioni: del sindaco, del parroco e del professor Sisinni - nel quale si narra come il tronco e altre reliquie del Santo siano state da un galeone sbarcate e abbandonate in un forziere una notte dell’anno 732 sull’isoletta di Santo Janni, lungo la costa a sud del paese. E della storia di questo vescovo di Sebaste, martire in Armenia sotto il governatorato di Agricola nell’anno 316 dell’era cristiana, si sviscera e racconta proprio tutto, e alla fine viene anche fornita una bibliografia composta di ben 57 titoli. Che io, fatte le debite proporzioni e distinzioni, per il martirio del patriota risorgimentale Costabile Carducci nel 1848, al Porticello di Acquafredda di Maratea, mi accontenterei di molto, ma molto, ma molto meno. Solo che, a parte un libro del 1909 di Matteo Mazziotti (“Costabile Carducci e i moti del Cilento nel 1848”) e un intenso opuscolo di un paio d’anni fa del capaccese professor Puca, non esiste praticamente nulla. E se voi chiedete agli abitanti del luogo quale dei due conoscano, e quale no, come immaginate rispondano? Direi anzi che non c’è proprio partita... O forse sono io a paragonare figure di martiri tra di loro vertiginosamente incommensurabili – nel senso che dovremmo occuparci un po’ di più di quello a noi non solo temporalmente, ma anche storicamente e moralmente più vicino. Ma proprio per questo politicamente scomodo.

P.S. 2 Sempre su Maratea, questa volta sulle specifiche e lussureggianti caratteristiche del suo territorio fisico, è in questi giorni uscito un secondo libro pubblicato dall’editore Cangemi: “Flora, vegetazione e tradizioni etnobotaniche di Maratea”. Si tratta di un testo ricco di foto, notizie, descrizioni di tutte le piante e i fiori che costituiscono il patrimonio di ricchezze naturali di cui Maratea è prodiga. A curarlo sono due esperti professori naturalisti e botanici dell’Università Roma Tre: Giulia Caneva e Maurizio Cutini. Nel suo campo di applicazione scientifica, va riconosciuto che il libro è una miniera di dati e informazioni. Complimenti all’impegno degli autori!

Quindi, e ricapitolando: un libro su culto e devozione religiosa di e in Maratea; un altro sulla flora e la vegetazione che la abbellisce e adorna; ma di cosa e come materialmente vivono gli abitanti di quel luogo, delle loro dimore e delle forme del loro interagire, dell’uso problematico e industrioso delle risorse paesaggistiche e turistiche, del contesto storico e dei tempi con cui i marateoti si confrontano e interagiscono? Qui si direbbe che la propensione sia di guardare in alto tra le nuvole in cielo, oppure di fissare lo sguardo a terra a contemplare erbe e fiorellini: ma che tale biforcazione così divaricata non abbia a che fare anche con una difficoltà particolare a fissare lo sguardo fermo all’orizzonte, guardando negli occhi ciò che succede e ci circonda? Ah già, esiste alla fine anche il mio, tra i libri da poco usciti su Maratea. Mi sembra però giusto sottolineare che il libro sulla devozione religiosa ha l’appoggio e il conforto di preti, amministratori, esperti in arte e cultura varia. Quello su flora e vegetazione ha potuto avvalersi del supporto dell’Università e delle risorse finanziarie delle istituzioni. Il mio, che temerariamente affronta questioni di natura sociale, economica, storico-antropologica, è stato impavidamente scritto in solitudine, ho contribuito alle spese di stampa, lo promuovo e pubblicizzo con l’attenzione aggiuntiva che si ha nei confronti di un figlio un po’ gracile e malfermo. Stupisce che solidarizzi e mi senta neanche tanto segretamente affine – sperando di non fare la sua stessa fine – con Costabile Carducci? Ditemi voi se non è giustificata la tentazione di prendere quattro panni, stiparli in una valigia, partire per il Brasile per starmene in panciolle su una spiaggia a osservare, sorbendo una caipirinha, stormi di ragazzi volteggiare arditi su una tavola sulla cresta dell’onda…