Una Nave di Libri per Barcellona
L’idea è semplicemente geniale: una nave di libri che salpa da Civitavecchia il 21 aprile con a bordo 800 lettori, 30 scrittori, 10 editori, per raggiungere Barcellona dove, in occasione della festa di San Giorgio, si svolge la giornata mondiale del libro. In quella giornata, assimilabile per qualche verso al nostro San Valentino, ogni donna è invitata, in cambio di una rosa, a regalare un libro. Amore e cultura uniti all’insegna dell’esaltazione della bellezza: non male, vero?
Non sono mai stato in vita mia a Barcellona, di cui ho sentito raccontare mirabilia. Due piccoli editori, il romano Agra/Zines e il napoletano Graus, sono presenti a bordo della nave con due miei libri da poco usciti: come non partecipare?
Sulla nave, un ferry boat della Grimaldi con una capienza di 2300 posti , è tra l’altro organizzata e presente durante i 4 giorni della crociera una libreria della catena Arion, che espone i 30 libri che verranno presentati dai rispettivi scrittori alla folta rappresentanza dei “lettori forti” presenti a bordo nella giornata di viaggio verso la capitale catalana e in quella di ritorno. Tutti insieme, incontrandosi liberamente negli spazi e negli incontri programmati, e nei due giorni ricchi di iniziative lungo le Ramblas e all’Italiano Istituto di Cultura di Barcellona: non è per chi ama il libro una idea geniale?
Molti sono gli sponsor dell’iniziativa che hanno dato il loro contributo alla rivista free press Leggere:Tutti che l’ha organizzata: dalle Biblioteche romane alla Provincia di Roma, dalla Fondazione Roma Poesia all’Isola del Cinema, che organizza le estati cinematografiche sull’Isola Tiberina e che a bordo della nave organizzerà la proiezione di due film: Lo spazio bianco, presente Valeria Parrella, autrice del libro da cui il film è stato tratto, e Dieci Inverni, presente Valerio Mieli, giovane regista in lizza quest’anno per il premio David di Donatello opera prima.
I due giorni di andata e ritorno sulla nave sono quindi ricchi di incontri e iniziative: presentazioni dei libri con gli autori, proiezioni di film con i loro registi, reading di poesie con gli stessi poeti autori dei testi, spettacoli con musiche e canzoni spagnole e catalane, degustazioni di cibi, spumanti e prodotti tipici in gara e a confronto tra Italia e Spagna. E queste sono le informazioni essenziali e le notizie base su quell’evento. Di seguito racconterò alcuni fatti per come si sono svolti, per come li ho personalmente sperimentati e vissuti, accompagnati dalle mie osservazioni e riflessioni. A cominciare dalla cronaca della presentazione di un mio libro.
Maratea. Il sogno di una cosa.
Ovvero: presentare su una nave un proprio libro invitando a immaginare.
Ho presentato l’ultimo mio libro Maratea. Il sogno di una cosa, in una delle sale della nave alle undici del mattino di domenica 25 aprile. Avevo a disposizione un quarto d’ora per fare poi spazio all’autore successivo. La graziosa giornalista che mi doveva presentare, sorridendomi seduttiva a due centimetri dalle labbra due minuti prima di iniziare, mi ha sussurrato, al posto di una dichiarazione d’amore, che per dei contrattempi insuperabili (la sua incapacità e inadeguatezza? la sua soave sventatezza?) del mio libro non aveva letto neppure una riga. Il pubblico intanto affluiva numeroso, la sala si riempiva: d’altra parte, chi era a bordo lo era in virtù della passione per i libri… Ho deciso in quel momento di fare a meno della copertura stampa, e ho iniziato la mia presentazione in solitario, affidandomi a una sequenza di inviti a immaginare a funzionare nel percorso da boe e traccianti. E quindi mi sono rivolto al pubblico presente così:
Immaginate un luogo lungo la costa del Mar Tirreno di una bellezza paesaggistica straordinaria: mare e montagna, piccole spiagge al fondo di incantevoli insenature tra le rocce, polle di acqua sorgiva e verde vegetazione mediterranea rigogliosa e diffusa. Io so che ognuno di voi ha il suo luogo prediletto, il luogo dell’anima e del cuore. Maratea, in Basilicata, è da trent’anni il mio.
Immaginate di avere vissuto in quel luogo, agli inizi degli Ottanta, per cinque anni; di avere formato in quella comunità legami di condivisione e amicizia, e di tornarci puntualmente tutte le estati in compagnia di famigliari, parenti e amici. In quel luogo e con quella comunità avete interagito, contribuendo a creare vicende, conoscenza e una qualche significativa esperienza. Di quei luoghi, della loro storia e memoria, avete appreso, parlato e scritto: del lucano Francesco Saverio Nitti, meridionalista, statista, uomo di cultura, europeista, che ad Acquafredda negli anni Venti del secolo scorso aveva creato in una villa sul ciglio della magnifica costa il suo morale e intellettuale buen retiro. Di Gian Paolo Nitti, suo nipote, avete scritto in ricordo della sua tragica morte prematura una appassionata biografia romanzata. E così di Costabile Carducci e di Pisacane, eroi risorgimentali trucidati dai borboni, il primo sulla montagna sopra Acquafredda, il secondo in un paese della Campania, il non lontano Sanza.
Immaginate che dal primo incontro e idillio e innamoramento di quel luogo dell’anima, con il passare degli anni, abbiate via via assistito a un inaspettato e grave venir meno di vita sociale e politica democratica attiva, e al prendere piede di un fenomeno sempre più diffuso di speculazione e irregolare e illegale abuso edilizio. E tale processo di degrado si è con il passare del tempo accentuato: la prima fabbrica tessile realizzata dal piemontese Rivetti con i contributi della Cassa per il Mezzogiorno, e anche la seconda calzaturiera aperta in sostituzione, si sono chiuse e languono vuote, così come l’ospedale un tempo positivamente attivo. Villa Nitti ad Acquafredda da trent’anni inutilmente bella e vuota. E se il turismo non decolla, in cambio gli incendi d’estate imperversano, la caduta di massi interrompe sempre più spesso la statale 18 che attraversa e congiunge i 30 km della costa lucana da Sapri a Praia.
Immaginate che avete sofferto amarezza e rabbia per questo degrado e impoverimento crescenti, che ne avete scritto, parlato e discusso con gli amici e la gente del luogo. Ma alla prima circolazione delle vostre pubbliche e firmate denunce, in risposta qualcuno vi ha fatto trovare un bel mattino le quattro gomme dell’auto squarciate. E poi sono arrivare le terribili notizie della possibilità che diverse navi cariche di rifiuti chimici e nucleari siano state affondate nel Tirreno, qualcuna proprio al largo di Maratea. E allora avete reagito scrivendo il libro di protesta e documentata denuncia che ora sulla nave presentate.
Immaginate però che quello che raccontate della storia e delle trasformazioni ahimé non positive di quel luogo riguardano, e in modo spesso ben peggiore, gran parte delle coste e dei luoghi altrettanto splendidi delle coste del Sud – anzi, che dico, dell’intero nostro Paese. Ecco, tutto questo che vi ho sia pur sommariamente invitato a immaginare è contenuto nel mio libro: del quale è bene precisare che il titolo – Il sogno di una cosa – è quello del primo romanzo di Pier Paolo Pasolini scritto alla fine degli Anni Quaranta del secolo scorso, e ambientato in una comunità di contadini del Friuli, tra un gruppo di giovani che condividono avventure, speranze, ambizioni e sconfitte esistenziali. E che Pasolini ha ripreso quel titolo da una frase che Karl Marx scriveva in una lettera a un amico, passo in cui il filosofo di Treviri così esattamente diceva:
“Come la religione è l’indice delle battaglie teoretiche degli uomini, lo stato politico lo è delle loro battaglie pratiche. Il critico non solo può, ma deve interessarsi dei problemi politici. Il nostro motto sarà: riforma della coscienza non mediante dogmi, bensì mediante l’analisi della coscienza mistica oscura a sé stessa, sia che si presenti in modo religioso, sia in modo politico. Si vedrà come da tempo il mondo possieda il sogno di una cosa, di cui non ha che da possedere la coscienza per possederla realmente…”.
Immaginate che in questi mesi recenti, a causa della chiusura della statale 18 per l’ennesima frana – ma questo, con esiti ben più tragici, è successo recentemente vicino a Messina, e poi a Ischia, e prima ancora nel salernitano -, si è costituita a Maratea una associazione di cittadinanza attiva guidata da un comitato di iniziativa e lotta che ha organizzato manifestazioni a Potenza alla Regione e all’Anas per reclamare la messa in sicurezza dell’intera costa. E che a me è stato chiesto di svolgere il compito di fornire testo e forma pubblica scritta di quella necessaria battaglia.
E così ho concluso la mia presentazione. Dopo di che, dal pubblico che gremiva la sala sono intervenuti al microfono in molti a chiedere, commentare, condividere, deplorare, solidarizzare – alcuni tra di loro, ho scoperto, di origine lucana. E la discussione dal quarto d’ora che doveva durare è proseguita accesa per oltre un’ora e mezza. Da farmi sentire pienamente compensato dall’impegno duro che comporta scrivere un libro.
Una annotazione finale. Avendo notato che gran parte dei libri presentati durante il viaggio parlano di depressione, suicidi, tossicodipendenze, terrorismo, mi sono permesso di rivolgermi al pubblico con un ultimo intervento.
Immaginate che in questo nostro amato e disgraziato Paese, così come nel suo minore e piccolo sta succedendo a Maratea, ci fosse un ritorno alla politica partecipata e pubblica attiva, e le famiglie, le contrade, i quartieri e l’intera comunità si incontrassero per discutere e capire e manifestare nelle strade e nelle piazze affinché chi deve fare e agire si decidesse a governare realmente per il bene collettivo e comune, e non per sé, gli amici e i compari. Non contribuirebbe questo a far diminuire robustamente la depressione, l’isolamento e la solitudine, le derive dell’abulia e dell’estremismo politico, l’imperversare delle tossicodipendenze? Non è la politica buona, quella in cui la gente si rispecchia e riconosce perché trasparente, partecipata e attiva, nei luoghi di vita e di lavoro, nelle strade e nei quartieri, a impedire e debellare queste forme di malessere e disagio, queste risposte sbagliate a problemi veri, queste forme di maligna aggressività distruttiva?
Gian Carlo Marchesini