Shutter Island di Martin Scorsese
Perché c’è la violenza? Che cosa è la follia, e in quanti modi la si può usare e manipolare per volgerla ai propri interessati fini dichiarando di volerla guarire? Perché gli uomini si uccidono tra di loro in casa e nelle guerre, perché siamo arrivati all’abominio dei campi di concentramento e al rischio di sterminio universale della bomba nucleare? Queste le domande che Martin Scorsese si pone e ci pone nel suo ultimo Shutter Island, e lo fa da gran maestro e artista che maneggia con grande padronanza le forze esplosive di un incandescente magma. La visione del film a me ha provocato una sorta di trance emotiva: Scorsese ti prende per mano e ti accompagna là dove infuria una terribile tempesta, nei meandri del labirinto e fin sull’orlo dell’abisso. Ti induce a chiederti: cosa è il nostro piccolo quotidiano buon senso, su cosa poggia il nostro traballante equilibrio? Siamo così sicuri che la nostra zattera sia al riparo dalle forze ostili della violenza distruttiva?
Scorsese non ci risparmia nulla nella visione delle possibili minacce e trappole e destabilizzanti dubbi e incertezze da cui siamo assediati. Siamo così sicuri che i nostri solidi principi non siano altro che rituali puerili? Non siamo tutti fragili canne al vento, in balia di forze pronte ad azzannarci e annientarci? Chi sollecito ci assiste e cura, non è anche colui che può certificare la nostra irredimibile e colpevole dissennatezza, non è colui che ha costruito su quella il suo potere e fortuna? Amore e violenza, salute mentale e follia, ordine apparente e disordine reale, imbroglio e doppiezza, manipolazione e ipocrisia: Leonardo Di Caprio, nella scena finale di un film in cui, approdato su quell’isola/ospedale psichiatrico per criminali violenti come agente federale nella pienezza del suo potere investigativo, viene alla fine consegnato come un agnello ai luciferini e onnipotenti neurochirurghi per essere lobotomizzato in quanto irrimediabilmente violento, pronuncia, lo sguardo rivolto a noi che siamo in poltrona annichiliti, una enigmatica, terribile domanda: è meglio vivere da mostri, o morire da uomini onesti?
Dopo Roman Polanski dell’Uomo nell’ombra, ora anche il Martin Scorsese della spaventosa prigione per criminali su Shutter Island ci regala approdo finale e apice del suo percorso cinematografico e filosofico. Due magnifici registi settantenni che ci confermano, ce ne fosse stato bisogno, che non sono vissuti invano. Qualche dio li conservi così vivi e prodighi ancora a lungo.
GianCarlo Marchesini