Il Pd, la riforma della scuola pubblica, il volo del gabbiano.

Sarà un caso – ma nella vita niente è mai del tutto un caso – ma proprio nei giorni in cui per un doloroso colpo della strega non ho potuto partecipare a un seminario del Pd sulla scuola, mi è capitato tra le mani e ho letto un libro. Si intitola “La scuola fa male”, Sperling & Kupfer editore, è stato scritto da Marcus Bach, 43enne figlio di Richard Bach, autore del tanto celebrato “Il gabbiano Jonathan Livingston”. Ambedue, in forma diversa, raccontano la storia entusiasmante di un percorso intellettuale e morale di auto perfezionamento.

Marcus Bach spiega nel suo libro perché ha deciso di piantare la scuola a sedici anni, e come si è applicato per impadronirsi delle conoscenze che lo interessavano e appassionavano. Non si è quindi mai neppure laureato, ma ciò malgrado a vent’anni era già inserito in Apple come il più giovane e neppure diplomato tra i manager (gli altri 40 essendo ingegneri elettronici) addetti al controllo. Oggi Marcus è imprenditore di successo e docente in diverse prestigiose università americane

Voi direte: ma questo succede negli Usa, noi siamo in Italia, quindi l’esempio e la parabola di Marcus qui non hanno senso né possibile riscontro.

Io non sono così d’accordo. Siamo in Italia, quindi per molti aspetti lontani dagli USA, ma ciò nonostante viviamo in un mondo globalizzato in cui gli USA costituiscono, per le linee di tendenza fondamentali, anticipazione ed esempio.

Nel suo “La scuola fa male” l’autore, raccontando la sua esperienza, in buona sostanza dice: ho lasciato la scuola appena ho capito che non mi stava aiutando. E così ho sviluppato un mio personale metodo di apprendimento. Ho imparato da solo, leggendo e studiando manuali tecnici, come programmare i computer. Dopo avere lasciato la scuola ho lavorato per alcuni anni nel settore dei videogiochi. Ho redatto un racconto delle mie esperienze, dei miei progetti. L’ho inviato a diverse aziende, sono stato convocato dalla Apple che ha apprezzato le mie esperienze e il mio entusiasmo. E mi ha assunto.

Nel suo racconto Marcus sostiene di avere a un certo punto capito che il tipo di insegnamento ricevuto a scuola interferiva con il suo bisogno di conoscenza e formazione, sprecando così letteralmente il suo tempo. Dice: avevo bisogno di indipendenza, di trovare piena fiducia nei miei mezzi. L’istituzione mi stava semplicemente distruggendo. Ho scoperto che “istruirsi” è molto di più che “frequentare”. E prosegue: allo scopo di mantenere gli studenti docili come un gregge, l’istituzione scuola deve far accettare alcune verità assolute. Dovete studiare quello che diciamo noi, che è la sola cosa che conta. Dovete essere promossi. I voti ci danno la misura di ciò che è veramente importante per voi. Dovete seguire le lezioni. La frequenza scolastica è l’unica pratica che può permettervi di sperare in una vita migliore.

Ma come Marcus Bach definisce l’istruzione? “L’istruzione non è un cumulo di nozioni. Non è rappresentata dalle ore che passiamo in classe, o dal modo in cui superiamo gli esami. Non è indottrinamento, né ossequio a un retaggio culturale; non significa allineamento intellettuale, né prendere per oro colato le parole altrui. L’istruzione è la parte di noi che emerge dal nostro apprendimento.”

E ancora: “Il sapere amplia la mia istruzione solo se ha il potere di cambiarmi, e solo se produce in me cambiamento positivo. Potrà rendermi più forte, più intuitivo o più impegnato nella vita. Ma deve comunque rendermi più utile e interessante a me stesso, altrimenti non c’è miglioramento.”

E infine: “L’amore per il sapere e l’apprendimento non è imbrigliato, soggiogato, ostacolato da una qualsiasi istituzione o autorità, ma è impegno e ricerca fino a trovare la propria voce e il proprio posto nel mondo”.

Questo è in estrema sintesi, e con formulazioni autentiche sue, il pensiero sulla scuola, l’istruzione, l’apprendimento, espresso da Marcus Bach sulla base della sua esperienza. Sarà esposto con linguaggio un po’ troppo semplice e concreto, ma intanto induce a chiedersi: quanto di questo metodo, orizzonte e senso alberga nel funzionamento della nostra scuola oggi? Se uno studente, liceale e universitario specialmente, un insegnante o un genitore, dovessero onestamente rispondere alla domanda: ma il senso e lo scopo vero della nostra scuola sta nel risultato che produce nei termini formulati da Bach, o piuttosto nel fatto che consente a bambini e ragazzi e giovani di uscire il mattino da casa e convergere in edifici e strutture dove almeno è certo che possono incontrarsi e trascorrere insieme qualche ora? E chi adulto esce la mattina di casa per andare a svolgere il suo lavoro a scuola, lo fa convinto di svolgere un compito realmente utile e funzionale alla crescita morale e intellettuale dei ragazzi, o perché questo è il solo modo che ha perr giustificare lo stipendio?

Venendo ora a noi, e al seminario sulla scuola organizzato dal Pd, e di cui ho letto relazioni e documenti: cos’è oggi la nostra scuola pubblica, un luogo di istruzione e apprendimento dotato di risorse e mezzi adeguati, di ambienti e strutture idonei, di competenze e motivazioni sufficienti e limpide, di impegno e passione profusi, finalizzati, corrisposti? Chi vi passa diverse ore al giorno, insegnanti e studenti, ha percezione di fare e fa l’esperienza di protagonista di un proprio quotidiano cambiamento positivo?

Ma se non è così, basta chiedere più risorse, edifici idonei e funzionali, più ore e tempo prolungato, più personale impegnato, puntare ad accrescere e moltiplicare il numero dei diplomati e laureati? Ma se poi tutto questo non si traduce nell’esperienza condivisa del risultato di un positivo e collettivo cambiamento?

Certo è che trascorrere buona parte della giornata rinchiusi in edifici spesso squallidi e fatiscenti, privi di risorse materiali, con attrezzature didattiche e tecnologiche insufficienti, è modo avvilente di trascorre il proprio tempo in un tempio formalmente e solennemente dichiarato dedicato all’apprendimento. Alla lunga si traduce in una immagine e messaggio di scarsa o nessuna dignità e autostima della stessa istituzione scolastica.

Forse allora soluzione e leva non stanno tanto o soltanto nel migliorare gli aspetti materiali e quantitativi della struttura, degli edifici, delle dotazioni di risorse e di personale insegnante, in sé certo faccenda non disprezzabile e necessaria, ma comunque non sufficiente. Perché la domanda fondamentale da cui partire non è chi, quanti, cosa, ma perché e come, e cioé quello che Bach rivendica come senso e finalità di un percorso di istruzione, la risposta in termini di crescita quotidiana di conoscenza e cambiamento intellettuale in assenza della quale la scuola pubblica bene che vada è malandato e disagevole ostello di massa per una classe insegnante depressa e una gioventù allo sbando.

Forse allora la leva giusta, l’atto fondativo per la ripartenza di una scuola pubblica rinnovata e viva è un gesto di semplice e radicale rottura: che ogni singola scuola si fermi per iniziare tra chi la frequenta, insegnanti e ragazzi, a chiedersi: ma quale è il senso, lo scopo e il traguardo vero di questo nostro ritrovarci ogni giorno qui dentro? Prendiamoci nel rispondere tutto il tempo necessario, e una volta che abbiamo capito tutti quale è il senso, a chi è utile e perché, chiediamoci se è il senso che ci sta bene e vogliamo. E se non lo è, sbaracchiamo tutto e ricominciamo.

Un partito realmente e seriamente riformatore in senso democratico e progressista, di questo spirito, di questa proposta dovrebbe farsi carico. Altrimenti, bene che vada, rischia di segnalarsi quale volonteroso e velleitario incerottatore di uno sfascio che in chi oggi sta al governo è intenzionalmente programmato e perseguito. Altrimenti si abbia il coraggio di dire che questa attuale scuola pubblica è come una corazzata fatiscente e arrugginita che si è deciso di affondare, con i topolini ricchi che scappano verso le loro protette e bene finanziate scuole religiose private, e l’élite dei topolini di sinistra che si rifugiano presso scuole altrettanto private steineriane o montessoriane.

Giovanni Bachelet, nel suo intervento al 1° Forum del Pd sulle politiche dell’istruzione, ha giustamente sostenuto che la scuola non è un’azienda, o una caserma, ma una comunità educativa, che insegnare e apprendere devono essere esperienze positive, che la didattica non è più una accumulazione di saperi, ma bisogna insegnare a imparare continuamente, bisogna insegnare per una nuova era che va pensata. La scuola, immagino direbbero Scalfari e Baricco, dovrebbe essere strumento e filtro necessari per imparare a distinguere cosa è oggi irruzione di una vitale barbarie, e cosa invece è imbarbarimento regressivo e distruttivo.

Bene, Marcus Bach fa un racconto di vita che è un’ottima esemplificazione di questi concetti. Al proposito vale la pena di riportare un’altra sua riflessione sul come funziona la mente: “ha bisogno di esplorare, sperimentare, giocare. A scuola ci viene spesso ripetuto che l’istruzione deve essere disciplinata. Ci spiegano che le materie vanno spezzettate in lezioni frammentate. Vogliono farci credere che sia indispensabile studiare determinate cose secondo un ordine e una sequenza prestabilita. Ma la mente non funziona così. Salta da un argomento all’altro , non è un unicum ma una molteplicità. Noi siamo creature polipsichiche”.

Solo che lui indica la chiave della sua salvezza nell’avere felicemente e per fortuna deciso di lasciare molto presto la scuola. E si tratta di quella USA, che si presume molto meglio funzionante ed efficiente di quella nostra italiana…

Quindi, che fare? Qui sta il dilemma. Siamo per la prima volta (nell’era contemporanea, forse in assoluto nella Storia) in presenza del fatto che i figli sono, in quanto padronanza delle tecniche e conoscenze tecnologiche, più avanti dei loro genitori. E quindi la gran parte degli studenti, in un settore per la conoscenza oggi strategico (computer, internet, informatica), è più avanti rispetto ai loro insegnanti. Nella scuola, e nella società, oggi l’interrogativo di fondo legittimo è: chi insegna cosa a chi? Chi è e continua ad essere legittimato e accreditato a farlo?

Oggi sul terreno della riforma della scuola si pone prioritaria l’esigenza di una formazione generale permanente e collettiva che riguardi e coinvolga ogni generazione ed età, ogni settore e ambito. Perché oggi la scuola pubblica assomiglia all’enorme accampamento di un esercito depresso, rinunciatario, auto sequestrato. Verrebbe da dire che dovrebbe essere sbaraccato e ricostruito dalle fondamenta, inventando e organizzando gruppi di lavoro, laboratori e cantieri dove ci si interroga, si dibatte, si gioca, si riflette e si studia. Centri culturali aperti e polivalenti con corsi auto gestiti a guida mista, sia a destra che a sinistra, sia sotto che sopra, dove tutti sono potenzialmente docenti e discenti, e l’autorevolezza si gioca sul campo e si conquista. Possibile invece che gioco e quadro di riferimento stiano esclusivamente nel decidere e predisporre più o meno insegnanti, più o meno risorse? Ma a che pro, per farne cosa, al servizio di quale progetto, senso?

Tornando al libro di Marcus Bach, “La scuola fa male”, ribadisco che si tratta di un libro importante e utile, perché è racconto autobiografico argomentato e appassionato che un autodidatta umanamente soddisfatto e professionalmente realizzato fa sul come ha saputo liberarsi di una istituzione scolastica diventata gabbia burocratica soffocante al punto da impedirgli di crescere intellettualmente, trovando quindi una sua strada originale di apprendimento positivo, guardandosi bene dal proporla come formula facile e ricetta magica, mostrandone invece analiticamente e dall’interno modo, criticità e problemi, funzionamento e risultato positivo.

Sia lode a Marcus che, come un tempo suo padre Richard con un gabbiano, ci ha così mostrato come impara a volare un essere umano.

Post Scriptum

Perché mi colpisce e convince così tanto il libro di Marcus Bach? Perché, pur per un verso sostanziale coincidendo con le indicazioni programmatiche di Giovanni Bachelet, fornisce in più un elemento chiave per me decisivo: l’accento sulla necessità di una assunzione di responsabilità personale e di soggettivo protagonismo, in assenza del quale le pur giuste e condivisibili esortazioni di Bachelet rimangono nella sfera astratta dell’illuminismo. Insomma, un cammino di uscita, trasformazione e riscatto dalle paludi mefitiche in cui si è arenata la scuola italiana – ma se è per questo anche la società che la contiene e esprime – non può che poggiare sui piedi, sulla sofferenza, sull’orgoglio, sui muscoli e sulla volontà di chi si è arenato e soffre. E nessuno, pur con le migliori intenzioni del mondo, potrà mai sostituirlo. Si può tifare, raccomandare, esortare, suggerire mappe, percorsi e via d’uscita: ma solo il gabbiano può decidere di tuffarsi nel volo.

Gian Carlo Marchesini