Politica internazionale

Ho visto e ascoltato Fassino intervistato da Rainews sulla situazione in Afghanistan. E noi dovremmo fidarci di uno con quella faccia lì, quel modo di parlare lì, quelle cose che dice lì? Quello suona come un postero e un postumo, un politico arcaico fisiognomicamente e mentalmente rinsecchito, una filiforme larva che parla con l’energia residua di una accanita e disperata forza d’inerzia. E quello lì rappresenterebbe la speranza e la sfida di una nuova e diversa vita per l’umanità nel pianeta? Uno che si aggrappa agli “impegni della comunità internazionale” per sostenere che noi saremmo traditori a volercene andare ora, e preannuncia, sbatacchiando pipistrellesche palpebre, l’inizio del 2014 come data per il ritiro, “così abbiamo tutto il tempo necessario per prepararci” - e altre decine di nostri soldati di morirci? “Siamo in Afghanistan per estirpare il mercato dell’oppio, e per evitare che si torni agli anni del regime talebano, quando alle bambine era impedito di andare a scuola” sostiene il nostro. Ma perché allora non dichiarare guerra a tutti quei paesi africani dove alle bambine in massa si praticano mutilazioni sessuali? Ma non si rende proprio conto che noi in Afghanistan siamo invasori in trappola, e che appena eletto (con imbrogli), già Karzai con i talebani segretamente tratta? E noi saremmo lì per estirpare il mercato dell’oppio, sapendo che il fratello del presidente è uno dei boss del traffico?

Piero Fassino: quello che – Piazza Navona, febbraio 2002 - Moretti pubblicamente indicava come uno dei dirigenti con i quali il centro sinistra non ce l’avrebbe mai fatta, e che ora ci racconta che l’uscita dall’Afghanistan è meglio rinviarla di altri quattro anni. Ma mi dite quale differenza reale c’è tra La Russa che in risposta ai quattro poveri alpini ammazzati auspica di dotare i nostri aerei di bombe – quanti civili accopperanno ancora? – e Fassino che al proposito concorda sulla necessità di aprire in Parlamento una bella discussione? Ma quale Parlamento, quello i cui parlamentari non sono stati eletti ma nominati/cooptati, e Fassino - e moglie! - vi alloggia tranquillo e stabile da cinque legislature? Politica internazionale o pro domo propria?

Sayonara

Ieri sera per fortuna mi è anche capitato di ri-vedere Sayonara, film del 1957 di Joshua Logan. L’avevo già visto nel 1958, quando avevo quattordici anni e frequentavo a Vicenza il quarto ginnasio. Mi sono scoperto a ricordare perfettamente tutto, a ripetere emozionato sillaba per sillaba con qualche frazione di secondo di anticipo le parole dei dialoghi tra Marlon Brando e la sua innamorata giapponesina. Ricordavo a memoria persino l’irresistibile refrain della splendida colonna sonora, e del grande attore ogni minuscola espressione mimica. Mi sono anche ricordato che a causa del prolungarsi oltre mezzanotte del film, al rientro ho trovato la porta del pensionato cittadino dove alloggiavo chiusa. E ho dovuto trascorrere l’intera notte invernale sotto un cespuglio alle pendici della collina di Monte Berico. Faceva un freddo boia: ma io avevo addosso il mio magnifico montgomery nero, e nel cuore a scaldarmi le fiamme dell’amore tra Marlon Brando e la sua geisha innamorata – e agli orecchi le folate della romanticissima colonna sonora. Era il 1958, avevo quattordici anni. Adesso ne ho qualcuno in più. Ma io so che in qualche mia parte costitutiva fonda sono rimasto lo stesso di allora. Sayonara.

Gian Carlo Marchesini