Des hommes et des dieux, di Xavier Beauvois
E’ il film che ha vinto quest’anno il Gran premio della giuria del Festival di Cannes, e racconta la storia di un gruppo di monaci trappisti che negli anni Novanta del secolo scorso realmente vissero, operarono e morirono in Algeria, presso un villaggio delle montagne dell’Atlante. Il titolo italiano, Uomini di Dio, non rende giustizia al messaggio e allo spirito del film, anzi lo impoverisce e tradisce. Perché la narrazione, la costruzione ideologica del film ricavano senso e funzione dall’uso intrecciato delle due polarità valoriali, la fiducia negli uomini e la fede in Dio. Insomma, per non sopraffarsi e scannarsi a vicenda, per andare in qualche modo d’accordo, gli uomini si sono dovuti inventare un Padre comune, e cioè Dio. Se siamo tutti figli dello stesso Dio Padre, allora siamo tutti fratelli, e tra fratelli si è tutti uguali, ci si rispetta e aiuta. O quantomeno ci si sopporta. Le religioni monoteiste sarebbero quindi un grande e necessario escamotage per favorire fratellanza e collaborazione tra gli umani. Poi, la natura umana è cosiffatta – per la sua terribile e irriducibile componente di sopraffazione e prepotenza – che anche tra religioni monoteiste c’è sempre qualcuno che rivendica primato e superiorità piuttosto che una comune discendenza e appartenenza. E allora sono dolori per tutti.
La vita del gruppo di monaci trappisti, la loro vocazione e funzione, è bene raccontata attraverso fatti ed episodi, così come il legame di stima e fiducia che si è creato con la gente del villaggio. Gli attori interpreti sono bravissimi, il film lentamente prende e alla fine ci si accorge di essere con quei monaci in empatia come con persone affini e famigliari. E allora, cosa c’è che, almeno in me, non ha convinto, non è piaciuto? Sostanzialmente il fatto che almeno un quarto, se non addirittura un terzo del film sia dedicato a canti, preghiere e riti, alla lettura di testi edificanti e sacri. Certo, sono monaci, spiritualità e religione sono la loro radice, scelta e motivazione. Ma perché ricorrere alla messa in scena insistita e completa di almeno una trentina di canti e preghiere? Non bastavano alcuni brani esemplificativi? Perché chi non è credente deve subire un trattamento salmodiante così intenso e prolungato? Ma perché: Emergency o Medici senza Frontiere o qualche altra Ong fraterna e soccorrevole non sono altrettanto dedite, impegnate ed eroiche nello svolgimento del loro compito volontario e gratuito, pur senza aderire a una dimensione istituzionale e organizzata di spiritualità religiosa?
C’è una frase di Pascal che uno dei monaci a un certo punto del film cita: infligge sofferenza, morte e tortura in modo peggiore di chiunque altro proprio chi lo fa in nome di una religione. Ma a vivere in pace tra umani non dovrebbe bastare un ordine di ragioni del tutto umane e laiche? La storia attuale e contemporanea lo dimostra anche nel campo della dedizione gratuita del volontariato: Gino Strada e altri come lui, ad esempio. E allora perché il film indugia con tanta insistenza sui riti di religiosità, come se quei monaci per trovare ragioni nel curare i malati del villaggio dovessero poi passare gran parte della giornata e della notte a pregare – e noi con loro per un buon terzo del film? Se in nome di Dio si arriva gioiosamente ad ammazzare, e per soccorrere i bisognosi e curare i malati si deve trovare motivazione nella fede in qualche Dio, non sarebbe meglio semplificare e risparmiare tempo prezioso, concentrandosi senza troppe giravolte su chi ha bisogno immediato di aiuto? Se non hai un premio, in denaro o in meriti accumulati presso qualche Dio, non ti rendi disponibile?
C’è un mercato di beni e servizi, di convenienze e scambi, di premi e incassi: ma la logica non rischia, anche in una dimensione spirituale e religiosa, di essere nella sostanza la stessa? Tuo fratello lo curi perché è un essere vivente, un essere umano. E basta. Se poi arrivano riconoscenza e doni, di qualsiasi natura, questo è un gratuito di più che non dovrebbe spiegare, condizionare o determinare. Nessuno disprezza o sottovaluta l’importanza di protesi e stampelle, ma che rimanga chiaro che si tratta, anche se di natura spirituale e religiosa, di protesi e stampelle. Altrimenti succede, come alle crociate, o nella guerra fratricida tra diverse fazioni e partiti di Allah in Algeria, che ciò che si caccia dalla porta come Dio sbagliato, ritorna poi vendicativo dalla finestra con la pretesa di imporsi come Dio furente e giusto. E non se ne esce più.
Insomma, una bella umanità integra e intera, consapevole e autonoma, paga e soddisfatta di sé, presa dalla cura e dalla costruzione del proprio percorso e destino umano e terreno, no eh? Ah, questo benedetto/dannato bisogno di idoli e dei, di padri e di papi protettori, di padrini e padroni… Me lo sogno il giorno in cui la signora umanità si piazza tutta intera davanti allo specchio, rossa, bianca, gialla e nera, maschia e femmina, vecchia e bambina, e orgogliosamente declama: tu sei l’unica e vera padrona tua, non avrai altro dio, o altra dea, al di fuori di te…
La capacità ritrovata di un passettino in questa direzione è il mio augurio per il 2011.
Gian Carlo Marchesini