Bill Viola, un grande.

Bill Viola ci prende per mano e ci conduce, lungo un labirintico percorso in silenziosa penombra, a proporci le sue immagini trasformate in racconti nel linguaggio proprio della video arte. E si rinnova un’esperienza forte con la proposta originale di dimensioni che costituiscono il nocciolo fondamentale della vita di ogni individuo: la partenza e l’approdo, la nascita e la morte, il gioire e il patire nella ciclicità propria del finire e del ricominciare.  Linguaggio e tecnica della video arte attingono alla iconografia sapientemente tratta dalla storia della pittura rinascimentale, e, grazie alla sensibilità dell’artista, diventano tramiti efficacissimi per provocare in noi coinvolgimento, turbamento, immedesimazione. Ogni stazione del percorso, che si snoda allestito dentro gli spazi intelligentemente adattati del romano Palazzo delle Esposizioni, consente a Bill Viola di farci meditare su stati, condizioni ed esperienze di grande presa suggestiva e quasi ipnotica. Già la prima sala, immersa nel buio e divisa da un grande schermo su cui scorrono le immagini simmetriche e parallele dei due eventi narrati, provoca un conturbante piccolo choc. Da una parte dello schermo, in alcuni lunghissimi e dilatati minuti, un uomo, che arriva lentissimamente da lontano e si avvicina fino a campire gigantesco sull’orlo dello schermo, viene progressivamente avvolto dalle fiamme fino ad esserne divorato al punto da scomparire. Dall’altra parte dello schermo, lo stesso uomo, sempre in avvicinamento graduale e progressivo, viene fatto bersaglio di gocce d’acqua che cadono dall’alto e si trasformano in rivoli, ruscelli, torrenti,  fiumi, fino alla immane e fragorosa cascata finale che lo avvolge, annega e fa letteralmente scomparire. I visitatori - singoli, in coppia, a gruppi o in famiglia, abbracciati, appoggiati  ai muri o seduti per terra - assistono in sequenza al duplice, catastrofico evento in un silenzio quasi annichilito. Acqua e fuoco esprimono una potenza distruttiva così radicale e perentoria da lasciare senza fiato. 

Molte altre sono le opere che scandiscono il percorso della mostra, tutte interessanti e suggestive. Tre in particolare ne voglio segnalare. La prima prende avvio in un profondo di acque fluviali o marine, riprese dal di dentro e dal basso, illuminate dal piovere dall’alto di fasci intermittenti di luce lattiginosa. Noi  siamo collocati nella condizione soggettiva di subacquei, immersi in vortici e gorghi in movimento accompagnato da suoni cupi, ipnoticamente ritmati. Potrebbe essere condizione ed esperienza dell’immersione nel liquido amniotico. Poi, all’improvviso, dal buio delle acque emerge prima il capo e poi il corpo di un uomo all’apparenza morto annegato. Lentissimamente sale verso la superficie, da dove all’improvviso e in fragoroso risucchio emerge assumendo la silhouette slanciata del tuffatore. E ci si rende conto che la vicenda nel video, proposta all’incontrario, è quella di un corpo che si è tuffato in acque profonde e che – intenzionalmente, disgraziatamente? – ne muore, ma viene riproposto  mentre torna al gesto di origine, come rimesso in vita ex post da una condizione di morte non definitiva e del tutto reversibile.   

Scena analoga viene riproposta in una sequenza/racconto in cui due pie donne, una più anziana l’altra giovane, siedono affrante, la schiena appoggiata a un pozzo dalla forma classicheggiante. Ma ecco che in superficie le acque del pozzo si muovono, cominciano a fuoriuscire dai bordi, e il fenomeno si scopre essere causato dal corpo nudo ed eretto in lenta emersione di un giovane Cristo bellissimo che viene accolto tra le braccia delle due donne, adagiato a terra per essere amorosamente avvolto e coperto da un drappo funebre.  

Infine, un’ultima tra le stazioni merita di essere citata: la sequenza, anche questa lentissima e rallentata, di una serie di persone in fila che si avvicinano a noi che guardiamo, alternando espressioni del viso e posture del corpo proprie di chi rende l’estremo e inconsolabile omaggio a un famigliare carissimo improvvisamente mancato. Ma quel famigliare carissimo in realtà siamo noi che guardiamo, perché è proprio verso di noi spettatori affascinati e allibiti che le persone così angosciate guardano, è a noi che rendono l’estremo addio.

Noi siamo fragili, noi siamo mortali, ci dice nelle sue opere Bill Viola. Gli elementi della natura, l’acqua e il fuoco, sono più forti di noi. Ma noi abbiamo coscienza del nostro stato, lo sappiamo ricreare e proporre, e in questo siamo unici e invincibili.

Bill Viola, un grande.

Gian Carlo Marchesini