Sul film Come Dio comanda 

 al duo Niccolò Ammanniti Gabriele Salvatores qualche domanda.


Ma veramente ritenete di poter vi permettere una tal faccia tosta da proporre come credibile un personaggio come Quattro Formaggi che nel film, in una decina di minuti, da ambientalista lirico amante della neve e degli scoiattoli si trasforma in un ferocissimo killer stupratore?

Ma voi pensate che basti schiacciare un pulsante per cambiare disinvoltamente scena e rendere accettabile la trasformazione del Dr Jekill in Mister Hide? Cosa vuole essere,  una presa per il culo, o pensate che a compensare  una così grossolana incongruenza basti la bravura di Elio Germano?

E come potete spacciare per verosimili e accettabilmente coerenti  i tratti caratteriali di Zena, alcolista, tabagista, cultore violento dell’uso delle armi, il quale, scoprendo che la ragazza che si è portato a letto è tossicodipendente, indignato la respinge e caccia di casa? Pensate che basti la bravura di Filippo Timi per far ingoiare questa inverosimile baggianata?

E veramente pensate di avere messo in scena un rapporto padre-figlio in qualche sostanziale misura verosimile/plausibile? Il culto della forza, il razzismo nazista, la truculenza caricaturalmente parossistica del personaggio del padre possono secondo voi credibilmente convivere con un amore totale per il proprio figlio? D’accordo, anche Hitler accarezzava sulla testolina cani e bambini: avete forse in programma  un film su un Fuhrer  appassionatamente umano interpretato da  Filippo Timi?

A proposito: ma la madre del ragazzo, dov’è? Quella di Timi vuole essere per caso una paternità celibe ottenuta per traslata e invertita partenogenesi? Ma per i toni, i modi, il linguaggio, le dinamiche e le logiche da voi proposte – e per la scelta dell’attore che fa la parte del figlio quattordicenne, evidentemente scelto anche per la sua bellezza squisitamente femminina – non sarebbe stato più  verosimile rompere i residui indugi e mettere apertamente in campo un rapporto padre-figlio di una appassionata ed esplicita valenza incestuosa?

Ma con che fili intesse la sua stoffa il vostro film: con quelli della tragedia primordiale e barbarica, o con quelli della denuncia sociale e politica,  o piuttosto con quelli di una valenza squisitamente psicoanalitica – o è invece incongruo e velleitario miscuglio di diversi e opposti grumi tenuti volonterosamente in piedi dal mestiere di autori e attori? Ma questo non rende il film ancora più discutibile e tremendo, come potrebbe esserlo un corpo vigoroso che,  ispirato al Guernica di Picasso,  tiene un piede al posto della bocca e la testa in quello del culo?

Ma gli autori del mostruoso  ibrido  da che parte stanno: sono dentro o fuori della mischia, e verso dove ci vogliono spingere? Agiscono forse come manina esperta nel grattare allo spettatore i nascosti pruriti? Dovremmo simpatizzare e commuoverci per le gesta di eroi simili o, disgustati delle loro gesta, complimentarci della bravura di attori capaci di affrontare coraggiosamente ruoli così infami? 

Salvatores è il regista di tanti buoni film – da Mediterraneo a Nirvana, da Quo vadis, baby a Io non ho paura. Quelle erano storie raccontate con un rigore cinematograficamente catartico. Là i ragazzini, in un mondo di padri deragliati,  almeno solidarizzavano tra di loro.  Qui si chiede empatia e identificazione con un padre che digrigna i denti e rotea come un Attila minaccioso gli occhi, e si diverte come un matto, insieme al figlio dagli occhi cerulei, “frocio-ma-duro”,  a spaventare l’amico  menomato  sparandogli con il revolver tra i piedi…

Dopo la visione di Come Dio comanda  rimane in testa una riflessione amara:  e cioè che nelle scelte di sceneggiatura e regia abbiano prevalso ragioni di mera natura commerciale. Nel film di Salvatores si sente lontano un miglio puzzo del  pulp di Tarantino e del Gomorra di Garrone:   ma senza il necessario rigore, senza la convinzione e la passione, ne è uscito fuori un orrendo, sanguinolento polpettone.

Che la società italiana oggi faccia per molti aspetti schifo, non è scoperta originale. Che autori una volta coraggiosi e bravi ne facciano abuso pigiando sul tasto della resa platealmente commerciale, questo fa incazzare. Si direbbe che qui a Salvatores non interessa né la Storia (quale il senso della condizione umana), né una storia (voglio raccontarvi qualcosa che rendo  interessante per il mio come e perché). Qui ad Ammanniti/Salvatores interessa la storiaccia (come ti organizzo al meglio ingredienti trucidi in modo da ricavarne il massimo risultato per il talento degli attori, soddisfare le attese voyeristiche e  morbose degli spettatori, portare lauti incassi ai produttori). Salvatores non è qui regista che dice la sua su un mondo cattivo attraverso l’arte del buon cinema,  è un mestierante  attento alle tendenze di  mercato e al business. 

Ma  il dolore, la malvagità e l’infelicità possono mai giustificare la loro esistenza in quanto capaci di fornire a uno scrittore e a un regista pretesto per i loro narcisistici e furbeschi esercizi di stile?  Il male del mondo può servire da sgabello su cui issarsi per lucrare e pavoneggiarsi?  Dopo avere visto Come Dio comanda, si direbbe proprio di sì.

Gian Carlo Marchesini