I disperati ultimi

La manifestazione per Gaza e la Palestina partita sabato alle 15.00 da Piazza Vittorio, rispetto alle tante precedenti è molto particolare. Intanto è composta per la gran parte del corteo di nutrite rappresentanze delle comunità palestinesi, arabe e islamiche: principalmente romane, ma anche di molte città del resto del Paese (cartelli e striscioni segnalano Brescia, Vicenza, Reggio Emilia). Sono rappresentanze organizzate con amplificazioni sonore, cartelli e striscioni, foto e gigantografie delle vittime dei bombardamenti di questi giorni su Gaza. Le immagini delle vittime sono verosimilmente quelle di amici e parenti. I manifestanti sono uomini anziani, adulti e giovani, ma a prevalere sono le donne con i loro bambini piccoli. Molte di loro tengono tra le braccia bambole e fagotti dalla forma umana intrisi di vernice rossa. La tensione, il dolore, la rabbia e l’angoscia si esprimono attraverso grida continue e acutissime, intervallate da slogan ritmati contro Olmert e Bush, per l’Intifada, la terra, la libertà. Sono migliaia e migliaia, e così emotivamente coinvolti e rabbiosamente implicati in quello che gridano da far apparire la partecipazione di noi romani/italiani come marginale e sfuocata. Sono loro i protagonisti, noi partecipiamo in un silenzio turbato e attonito. Ciò che un po’ disorienta è l’ascoltare alternati e compresenti l’invocazione “Allah è grande” e canzoni della tradizione comunista come Bella ciao e l’Internazionale. L’altra presenza organizzata nel corteo è infatti quella dei comunisti. C’è Rifondazione con Ferrero, i Comunisti italiani con Diliberto, e altre sigle della diaspora comunista sempre più  radicali, rivoluzionarie, ultimative. L’altra presenza folta e visibile è quella degli studenti dell’Onda e dei giovani dei Centri sociali. L’aria che tira è quella degli oppressi e degli ultimi, degli emarginati, dei precari e di tutti quelli socialmente messi peggio. Qui, in buona sostanza, quello che si rivendica – c’è poco da fare i sofisticati - è di avere riconosciuto il diritto alla vita e alla sopravvivenza. La condizione gridata e rivendicata è quella umana, antropologica e ontologica nuda. Se continuate a tenerci così stretti e costretti, se ci negate ancora e ancora uno spazio sociale minimo, se mettete in discussione lo stesso nostro diritto all’esistenza, sappiate che allora la nostra collera scoppierà furiosa. Questo dicevano facce, slogan, parole e grida alla manifestazione per Gaza e la Palestina. Una miscela rabbiosa di pezzi e parti della società che confluiscono oggi a comporre il mosaico inedito di un Paese nuovo, sottoposte a una pressione esplosiva. Non c’è qui mediazione possibile alcuna, non misura né moderazione possibile. Ma cos’altro c’era da aspettarsi, in presenza di un uso massiccio e brutale della forza, così ferocemente e indiscriminatamente messo in atto a Gaza, e di una durezza della crisi sociale ed economica così brutalmente scaricata innanzitutto e pesantemente su strati sociali già di per sé vulnerabili e deboli?

P.S. A darmi una mano per capire l’intricatissima e inedita situazione mi soccorre l’amico Riccardo. Un etologo – mi segnala – per rappresentare e spiegare situazioni simili racconta che a salire sul tronco portato dalle acque di un fiume in piena, pur di salvarsi da una minaccia condivisa, possono trovare rifugio animali che tra loro, in tempi normali, si sbranerebbero. Comunisti, palestinesi, lavoratori precari e giovani senza futuro, musulmani fondamentalisti… Appunto.

Gian Carlo Marchesini