Testo di Chris Hedges tratti dalla pagina Fb di Sergio Sabbadini
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Petrolio palestinese di Mikela Broggio |
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Che mangino terra! Non è mai esistita alcuna possibilità che il governo israeliano accettasse una tregua nei combattimenti proposta dal Segretario di Stato Antony Blinken, tanto meno un cessate il fuoco. Israele è sul punto di sferrare il colpo di grazia contro i palestinesi di Gaza, scatenando la fame di massa. Quando i leader israeliani usano il termine “vittoria assoluta”, intendono decimazione totale, eliminazione totale. Nel 1942 i nazisti affamarono sistematicamente i 500.000 uomini, donne e bambini del ghetto di Varsavia. Israele intende superare questo numero. Nel tentativo di chiudere l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Impiego dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), che fornisce cibo e aiuti a Gaza, Israele e il suo principale protettore, gli Stati Uniti commettono un crimine di guerra e una flagrante sfida alla Corte Internazionale di Giustizia. La Corte ha ritenuto plausibili le accuse di genocidio mosse dal Sudafrica, che includevano dichiarazioni e fatti raccolti dall’UNRWA. Ha, quindi, ordinato a Israele di rispettare sei misure provvisorie per prevenire il Genocidio e alleviare la catastrofe umanitaria. La quarta misura provvisoria invita Israele a garantire misure immediate ed efficaci per fornire assistenza umanitaria e servizi essenziali a Gaza. I rapporti dell’UNRWA sulle condizioni a Gaza, di cui mi sono occupato come corrispondente per sette anni, e la documentazione degli attacchi israeliani indiscriminati mostrano che, come ha affermato l’UNRWA, “le ‘zone sicure’ dichiarate unilateralmente non sono affatto sicure. Nessun posto a Gaza è sicuro”. Il ruolo dell’UNRWA nel documentare il genocidio e nel fornire cibo e aiuti ai palestinesi, provoca le ire del governo israeliano. Dopo la sentenza, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha accusato l’UNRWA di aver fornito false informazioni alla Corte Internazionale di Giustizia. Suo obiettivo da decenni, ora Israele ha deciso che l’UNRWA - che sostiene 5,9 milioni di rifugiati palestinesi in tutto il Medio Oriente con cliniche, scuole e cibo - doveva essere eliminata. La sua distruzione è un obiettivo politico e materiale. Secondo le accuse israeliane, una dozzina tra i 13.000 dipendenti dell'UNRWA avevano legami con coloro che hanno compiuto gli attacchi in Israele il 7 ottobre. Pur senza prove, queste accuse hanno funzionato: 16 grandi donatori, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania, l'Italia, i Paesi Bassi, l'Austria, la Svizzera, la Finlandia, l'Australia, il Canada, la Svezia, l'Estonia e il Giappone, hanno sospeso il loro sostegno finanziario all’agenzia di soccorso da cui dipende quasi ogni palestinese a Gaza per il cibo. Dopo gli attacchi all’interno di Israele da parte di Hamas e altri Gruppi di Resistenza il 7 ottobre, nei quali sono stati uccisi circa 1.200 israeliani, Israele ha ucciso 152 dipendenti e danneggiato 147 installazioni dell’UNRWA e ha bombardato i suoi camion di soccorso. Più di 27.708 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, circa 67.000 sono rimasti feriti e almeno 7.000 sono dispersi, molto probabilmente morti e sepolti sotto le macerie. Secondo le Nazioni Unite, a Gaza oltre mezzo milione di palestinesi, uno ogni quattro abitanti, sta morendo di fame. La fame regnerà presto dovunque. Ma i palestinesi di Gaza - 1,7 milioni dei quali sono sfollati interni - non solo non dispongono di sufficiente cibo. Non hanno neanche acqua pulita, ripari e medicine. Mancano frutta e verdura. C’è poca farina per fare il pane. La pasta, insieme alla carne, il formaggio e le uova, sono scomparse. I prezzi del mercato nero per prodotti secchi come lenticchie e fagioli sono aumentati di 25 volte rispetto ai prezzi precedenti alla guerra. Un sacco di farina al mercato nero è salito da 8,00 a 200 dollari (da 7,50 a 185,50 euro). Il sistema sanitario di Gaza, dove solo 3 dei 36 ospedali rimasti funzionano parzialmente, è in gran parte collassato. Circa 1,3 milioni di sfollati palestinesi vivono per le strade della città meridionale di Rafah, che Israele ha designato come “zona sicura” prima di iniziare a bombardarla. Le famiglie gelano sotto le piogge invernali sotto fragili teloni in mezzo a pozze di liquami fognari. Si stima che circa il 90% dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza siano stati costretti ad abbandonare le proprie case. “Non c’è stato alcun caso, dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui un’intera popolazione sia stata ridotta alla fame estrema e alla miseria con tale velocità”, scrive sul "Guardian" Alex de Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation presso l’Università Tufts di Medford/Somerville vicino a Boston, autore di “Fame di Massa: Storia e Futuro Della Carestia” ("Mass Starvation: The History and Future of Famine"). “E non c’è altro caso in cui l’obbligo internazionale di fermarlo sia stato così chiaro”. Gli Stati Uniti, in passato il maggiore contribuente dell’UNRWA, hanno fornito all’Agenzia 422 milioni di dollari nel 2023. Con il taglio dei fondi le consegne di cibo dell’UNRWA, già scarse a causa dei blocchi israeliani, saranno sostanzialmente interrotte verso la fine febbraio/inizio marzo. Israele ha dato ai palestinesi di Gaza due scelte. Andarsene o morire. Ho documentato la carestia in Sudan nel 1988 che costò la vita a 250.000 persone. Ci sono solchi nei miei polmoni, cicatrici derivate dal restare in mezzo a centinaia di sudanesi che morivano di tubercolosi. Essendo forte e sano, ho combattuto il contagio. Loro, essendo deboli e denutriti, non ci riuscivano. Come a Gaza, la comunità internazionale fece poco. Precursora della fame, la denutrizione, colpisce già la maggior parte dei palestinesi di Gaza. Coloro che muoiono di fame non hanno abbastanza calorie per sostenersi. In preda alla disperazione le persone cominciano a mangiare foraggio per gli animali, erba, foglie, insetti, roditori e persino terra. Soffrono di dissenteria e infezioni respiratorie. Strappano minuscoli pezzetti di cibo, spesso avariati, e li razionano. Ben presto, il deficit di vitamina B1 e la mancanza del ferro necessario per produrre l'emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi che trasporta l’ossigeno dai polmoni al corpo, e della mioglobina, la proteina che fornisce ossigeno ai muscoli, diventano anemici. Il corpo si nutre di se stesso, tessuti e muscoli deperiscono. Diventa impossibile regolare la temperatura corporea. I reni si bloccano. Il sistema immunitario crolla. Organi vitali: cervello, cuore, polmoni, ovaie e testicoli, si atrofizzano. La circolazione sanguigna rallenta. Il volume del sangue diminuisce. Malattie infettive come il tifo, la tubercolosi e il colera diventano un’epidemia, uccidendo migliaia di persone. È impossibile concentrarsi. Le vittime denutrite soccombono al deterioramento mentale ed emotivo e all’apatia. Non vogliono essere toccati o spostati. Il cuore è indebolito. Le vittime, anche a riposo, sono in uno stato di insufficienza cardiaca endemica. Le ferite non guariscono. La vista è compromessa a causa della cataratta, anche tra i giovani. Alla fine, sconvolto da convulsioni e allucinazioni, il cuore si ferma. Questo processo può durare fino a 40 giorni per un adulto. I bambini, gli anziani e i malati muoiono più velocemente. Ho visto centinaia di figure scheletriche, spettri di esseri umani, muoversi tristemente ad un ritmo agghiacciante nell’arido paesaggio sudanese. Le iene, abituate a mangiare carne umana, rapivano abitualmente i bambini piccoli. Mi trovavo davanti distese di ossa umane spolpate alla periferia di villaggi dove dozzine di persone, troppo deboli per camminare, si erano sdraiate in gruppo e non si erano mai alzate. Molti erano i resti di intere famiglie. Nella città abbandonata di Maya Abun, i pipistrelli penzolavano dalle travi della chiesa della missione italiana sventrata. Le strade erano ricoperte di ciuffi d’erba. La pista di atterraggio sterrata era costeggiata da centinaia di ossa umane, teschi e resti di braccialetti di metallo, perline colorate, cestini e brandelli di vestiti. Le palme erano state tagliate a metà. La gente aveva mangiato le foglie e la polpa all’interno. Era corsa voce che il cibo sarebbe stato consegnato via aerea. Le persone avevano camminato per giorni fino alla pista di atterraggio. Aspettarono, aspettarono e aspettarono. Nessun aereo è arrivato. Nessuno seppelliva i morti. Ora, da lontano, guardo quanto accade in un’altra terra, in un altro tempo. Conosco l’indifferenza che ha condannato i sudanesi, soprattutto Dinka (tribù del Sudan del Sud che abitano nelle regioni di Bahr al Ghazal e Kordofan n.d.t.) e che oggi condanna i palestinesi. I poveri, soprattutto quando sono persone di colore, non contano. Possono essere uccisi come le mosche. La fame a Gaza non è un disastro naturale. È il piano generale di Israele. Ci saranno studiosi e storici che scriveranno di questo genocidio, credendo falsamente che possiamo imparare dal passato, che siamo diversi, che la storia può impedirci di essere, ancora una volta, dei barbari. Terranno conferenze accademiche. Diranno “Mai più!” Si loderanno per essere più umani e civili. Ma quando arriva il momento di parlare apertamente di ogni nuovo genocidio, timorosi di perdere il loro status o la loro posizione accademica, correranno come topi nelle loro tane. La storia umana è lastricata di atrocità contro i poveri e i vulnerabili del mondo. Gaza è un ulteriore capitolo. Due parole sull'autore: Chris Hedges, giornalista statunitense, ha ricevuto il premio Pulitzer per il giornalismo nel 2002 per i reportage su al-Qaeda. È stato corrispondente estero per 15 anni del "New York Times", (capo ufficio per il Medio Oriente e capo ufficio per i Balcani), e prima ancora del "Dallas Morning News", del "Christian Science Monitor" e della "NPR" (la National Public Radio è una organizzazione non profit comprendente oltre 1 000 stazioni radio statunitensi). Attualmente conduce il programma “The Chris Hedges Report” dove "intervista scrittori, intellettuali e disidenti, molti dei quali banditi dai grandi media". |
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